ROMA – «Il progetto che sta alla base de L’Alligatore è molto particolare», ci racconta il regista e showrunner Daniele Vicari, via Zoom, «I romanzi di Carlo Carlotto, da cui è stratto, sono estremamente ricchi. La nostra è stata una trasposizione complessa ma affascinante». E riuscitissima, aggiungiamo noi, dato che la serie – quattro episodi, in anteprima su RaiPlay dal 18 novembre e poi su Rai2 dal 28 novembre – alzano sensibilmente l’asta della qualità nelle serie televisive italiane.
Sarà che è tratta dai bestseller (Edizioni e/o) di un autore poliedrico e amato come Carlotto, sarà che la messa in scena è quella delle grandi produzioni internazionali (per dire, le rive del Po sembrano quelle del Mississippi…), ma L’Alligatore – sviluppato da Vicari, co-diretto insieme a Emanuele Scaringi, e prodotto da Rai Fiction e Fandango – colpisce (forte) nel segno, facendoci immergere nelle atmosfere un po’ pulp, un po’ western e un po’ hard boiled del suo protagonista, Marco Buratti, detto l’Alligatore, interpretato da Matteo Martari.
Lui, ex cantante blues (tema che ricorre nella serie, accompagnato dall’ottima soundtrack di Teho Teardo), dopo sette anni di ingiusta galera, vuole riappropriarsi della sua vita. Appena uscito dal carcere, accetta d’indagare sui guai dell’ex compagno di cella, Alberto Magagnin (Luca Filippi), e per farlo chiede aiuto a un altro ex compare di galera, Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi). Tra azione, confusione e la sua banda di pazzi (a cui si aggiunge l’attivista ambientale Max “La Memoria”, interpretato da Gianluca Gobbi), Matteo prova a riprendersi l’amore impossibile di Greta (Valeria Solarino), finendo però con Virna (Eleonora Giovanardi).
Qui la nostra video intervista a Daniele Vicari:
Lascia un Commento