MILANO – Tra le viuzze caotiche della capitale cambogiana Phnom Penh spicca uno storico palazzo bianco, luogo mistico e trascendentale che nella storia è stato abbandonato, poi ripopolato e adesso destinato alla demolizione per lasciare spazio al nuovo, al futuro. Lì abita il giovane Samnag e la sua famiglia, un microcosmo costretto ad affrontare i terremoti sociali dell’ambiente esterno. Il primo movimento che il regista Kavich Neang compie con White Building, suo film d’esordio, è questo, dall’alto al basso, dal generale al particolare così da poter costruire un ragionamento filmico sulla Cambogia osservandola da ogni prospettiva possibile. White Building, presentato nel 2021 alla Mostra di Venezia a Orizzonti e disponibile su MUBI, si intrufola in un enorme edificio bianco per estrapolare le macerie di un paese in pieno conflitto con sé stesso, una Cambogia dilaniata dal rapporto con il proprio passato e confusa sul futuro da intraprendere.
Kavich Neang scava nella propria memoria (la sua è stata una delle cinquecento famiglie sfrattate dal White Building) e costruisce il film attorno alla figura di Samnag e alla sua fragile quotidianità. Ha la passione per il ballo e insieme a due amici girano per i locali spacciandosi per orfani alla ricerca di qualche spicciolo dall’elite sociale per pagarsi gli studi e continuare a coltivare il sogno di arrivare in televisione e diventare famosi. All’interno delle mura di casa invece deve affrontare l’imminente demolizione del palazzo in cui vive con la famiglia e la magmatica trattazione tra il governo e lo schieramento – guidato dal padre del protagonista – di chi non vuole lasciare il proprio focolare e accettare la misera offerta della Stato. Equilibri precari che andranno a destabilizzarsi ulteriormente quando uno dei compagni di ballo deciderà di lasciare la Cambogia per trasferirsi in Francia e quando il padre, sempre più debilitato da una malattia, rifiuterà qualsiasi tipo di cura e dovrà così rinunciare a partire.
White Building è un film di fortissime dicotomie costrette a sfiorarsi e poi scontrarsi in una Cambogia poliedrica e sfaccettata: il rapporto tra spiritualità e modernità, luoghi desueti e locali dell’alta società e lo scontro sociale tra le contraddizione della religione e l’avido materialismo disegnano un ragionamento sullo sgretolamento intimo e collettivo all’interno di un paese proiettato verso il futuro ma che non riesce a superare i traumi del proprio passato. Neang non indica vittime o colpevoli, ma attraverso la storia di Samnag riesce a scattare una lucida fotografia di una Cambogia che ha abbracciato lo sfrenato capitalismo per emergere nel Sud Est asiatico e di una società vetusta che non accetta il cambiamento impersonata da un padre che non vuole andarsene, che non vuole operarsi, che resta ciecamente aggrappato a quello che ha senza guardare fuori dal proprio recinto conoscitivo.
E per il regista alla fine ci sono solo due possibilità: andarsene (proprio come fa uno degli amici di Samnag) oppure restare e perdere pezzi del corpo e dell’anima (il padre del protagonista rifiutando le cure avrà il corpo in cancrena e perderà parti del corpo. E al centro di queste due strade? Rimane Samnag, simbolo di una gioventù costretta a lasciare in disparte i propri sogni per adattarsi a quello che il mondo ha scelto per loro…
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- VIDEO | Qui il trailer originale di White Building:
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