MILANO – Premessa d’obbligo: dopo Avengers: Infinity War ed Endgame il percorso del Marvel Cinematic Universe è stato altalenante, con più cadute che slanci. Lo abbiamo ribadito a più riprese e sarà interessante studiarlo col tempo per capire l’evoluzione della saga e i passi falsi. Intanto, però, Kevin Feige e soci sembrano aver iniziato a fare i compiti, perché Thunderbolts* – l’ultima uscita di Casa Marvel ora al cinema – dà l’idea di aver compreso gli errori commessi, anche da quelli del recente Captain America: Brave New World, fermatosi a 410 milioni di dollari di incasso, uno dei più bassi dell’epoca Marvel. Da questo punto di vista Thunderbolts* di Jake Schreier (reduce da Città di carta con Cara Delevigne, non proprio un cinecomic) è un film più onesto, curato sia sul piano tecnico che nella costruzione dei personaggi. Una ventata di aria fresca, finalmente. Ma di che storia si tratta questa volta?

Sette reietti tormentati dal proprio passato vengono reclutati da Valentina Allegra de Fontaine (Julia Louis-Dreyfus) per conto del governo americano e riuniti in una squadra di antieroi con un compito letale: fermare la minaccia rappresentata da Sentry (Lewis Pullman). In un’operazione disperata, guidati dalla Vedova Nera, Yelena Belova (Florence Pugh), gli outsider Bucky, il Soldato d’Inverno (Sebastian Stan), Red Guardian (David Harbour), US Agent (Wyatt Russell), Ghost (Hannah John-Kamen) e Taskmaster (Olga Kurylenko), dovranno affrontare non solo un nemico formidabile, ma anche i fantasmi del proprio passato. Il fan più attento lo noterà subito: Thunderbolts* è qualcosa di diverso, perché non è solo un team-up o una sfilata di camei improbabili, ma un racconto (firmato da una new entry, Lee Sung Jin, creatore di Beef e alla prima volta al cinema) finalmente sincero, che indaga davvero nella psiche dei personaggi.

No, niente fronzoli, né riflessioni forzate sull’idea di eroe cupo (come in Eternals). Qui si punta sul lato umano ed emotivo di figure distrutte, segnate dai traumi dei loro complessi passati. I Thunderbolts non cercano redenzione per dovere, ma per riempire un vuoto. E lo fanno attraverso il gioco di squadra. E anche quando la loro umanità ne risente nei momenti più cupi, tutto resta coeso. Perché? Perché al centro c’è un tema forte: riscoprirsi fragili. Yelena e gli altri non sono immortali, e in fondo non vogliono esserlo, una consapevolezza che arriverà a colpi di pugni da parte di Sentry. Un promemoria importante, in un MCU che ha faticato a riflettere davvero su cosa sia la mortalità e l’umanità per questi eroi dopo la scomparsa di Iron Man e la fine degli Avengers. Anche se si tratta di un film corale, è chiaro che Thunderbolts* ruota attorno a Florence Pugh che regge sulle spalle, con grande merito e forza, il peso drammatico della storia.

Con Lewis Pullman, nei panni di Robert Bob Reynolds alias Sentry intenso e tormentato, c’è una grande chimica che si riflette anche sul resto del cast, da David Harbour a Hannah John-Kamen. Questo è quello che succede quando si è sostenuti da una sceneggiatura attenta, capace di valorizzare ogni personaggio, anche quelli dimenticati. Non sarà probabilmente il film Marvel più spettacolare o potente di sempre, ma le tipiche imperfezioni da cinecomic si incastrano molto bene con questi antieroi disadattati. E proprio in questo, forse, sta la forza di Thunderbolts*. Un passo nella giusta direzione per il MCU.
- INTERVISTE | Florence Pugh: «La costruzione della mia Yelena»
- VIDEO | Qui la nostra intervista a Hannah John-Kamen e Lewis Pullman:
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