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Nuovo Cinema Mati | The Place e quel prezzo da pagare per realizzare i propri desideri

Quarta puntata della nuova rubrica di Matilde Santantonio. Questa settimana ci (ri)vediamo The Place

«Cosa sei disposto a fare per ottenere ciò che vuoi?». Questa è la domanda chiave che tiene le redini di The Place, il film che Paolo Genovese ha diretto dopo il successo di Perfetti sconosciuti. Qui abbiamo otto personaggi che si presentano al tavolo di un ristorante di una città non identificata e mai citata (in realtà è Roma) davanti ad un uomo senza identità, interpretato da Valerio Mastandrea. Ciascuno di loro ha un desiderio da realizzare, ma che si realizzerà solo a delle terribili condizioni da lui dettate.

Vinicio Marchioni e Valerio Mastandrea in una scena del film.

Unica location del film è, appunto, il ristorante attorno al quale si muovono le varie linee narrative di cui il personaggio di Mastandrea diventa burattinaio. Non sappiamo come sono arrivati fin lì gli altri personaggi coinvolti nella storia e non sappiamo nemmeno il nome di quell’uomo misterioso seduto sempre allo stesso tavolo. Una scelta che apre a molteplici domande.

Un’immagine di The Place.

Un mistero che persiste fino alla fine della pellicola capace, invece di spazzare via i dubbi, di sollevare ulteriori domande. Genovese riesce con poco a creare un nucleo di verità accerchiato da fantasia. Attraverso il grande lavoro degli attori si possono immaginare otto vite diverse nei minimi particolari, assemblate in un montaggio semplice ma diretto.

Paolo Genovese e Mastandrea sul set.

L’interpretazione di Silvia D’Amico fa riflettere su quanto ci si può spingere oltre per rincorrere la bellezza; Alba Rohrwacher è il bisogno estremo di ritrovare qualcosa in cui credere; Rocco Papaleo un uomo desideroso di passare una notte con la donna dei sogni: Giulia Lazzarini mostra la paura di restare soli; Alessandro Borghi interpreta la stanchezza e la disperazione. Insieme agli altri personaggi (tra cui Marco Giallini, Sabrina Ferilli, Vittoria Puccini, Vinicio Marconi) danno vita a piccole realtà della nostra società, indagano su quanto l’uomo possa spingersi oltre per raggiungere un obiettivo, ponendo indirettamente gli stessi quesiti allo spettatore.

Silvia D’Amico e Silvio Muccino in una scena del film.

Nonostante sia un adattamento della serie australiana The Booth At The End, Genovese riesce a ricostruire una storia credibile, tratteggiando i personaggi con precisione, riconfermando la sua bravura nel trasmettere quanto sia affascinante vivere tante vite attraverso la massima essenzialità. E tutto senza dover ricorrere a effetti speciali o scenografie imponenti, concentrandosi solo sulla forza delle idee. Non è poco.

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