MILANO – Ma chi è davvero Shia LaBeouf? L’adolescente prodigio della serie Disney Even Stevens? La star di Hollywood diventata famosa grazie a Transformers e a successi come Disturbia, Indiana Jones 4 e il sequel di Wall Street? Il folle sperimentatore che si trasmette in diretta streaming, senza interruzioni, mentre guarda ogni film in cui ha lavorato in un teatro di New York? Oppure è più simile al performer che rimane chiuso, 24 ore, in un ascensore dell’Università di Oxford per chiacchierare con chiunque salga o scenda? O, ancora, è il Padre Pio di Abel Ferrara? Mistero. Quello che è certo è che ognuna di queste versioni dell’attore è migliore delle ripetute condotte moleste che lo hanno portato a essere arrestato decine di volte, tra tasso alcolemico eccessivo, risse e comportamenti molesti.

Ma che cosa c’è e cosa rimane ancora nascosto dietro le maschere pirandelliane indossate da LaBoeuf in questi anni? C’è un modo unico per scoprirlo e si chiama Honey Boy, film scritto dallo stesso attore e diretto da Alma Har’El, regista al suo primo lungometraggio di finzione, presentato al Sundance tra gli applausi. Doveva arrivare in sala anche in Italia con Adler ma poi causa Coronavirus finì malamente in digitale e sparì nel nulla. Oggi lo trovate in streaming (su Apple TV+ e Prime Video a noleggio) seppellito da centinaia di nuovi titoli, dovete essere motivati per trovarlo. Ma cos’è precisamente Honey Boy? Un realistico racconto autobiografico, che si concentra soprattutto sul rapporto del protagonista con il padre, hippie distruttivo e autodistruttivo.

Il personaggio che rimanda a Shia è interpretato da Lucas Hedges (ricordate Manchester by the Sea?) e dal piccolo e incredibile Noah Jupe (A Quiet Place), mentre proprio LaBeouf recita la parte di suo padre e dà vita a una prova sconvolgente, indossando i panni di un uomo competitivo, irascibile ed eroinomane. Il periodo “disneyano” del vero LaBeouf sembra fare a cazzotti con il suo ambiente privato, ma Honey Boy non vuole essere un’indulgente parabola nei confronti delle fragilità del suo mentore, quanto piuttosto è un autoritratto che non concede sconti, neppure riguardo a comportamenti egocentrici e megalomani manifesti già in età adolescenziale.

Dalle prime scene (geniale l’apertura sul set di un blockbuster), la sensazione è di trovarsi di fronte ad una pellicola di rara sensibilità che, al di là dei riferimenti a persone esistenti ed eventi accaduti, è soprattutto un’inquietante ed emozionante testimonianza sulla vita di un giovane attore alle prese con un genitore. Honey Boy sarò stato anche il modo in cui Shia LaBeouf ha definitivamente esorcizzato il proprio passato e i propri demoni, ma l’aspetto incredibile (ma in realtà non tanto) è proprio come una storia tanto singolare e personale riesca a diventare collettiva. Recuperatelo e consigliatelo.
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