MILANO – Ultimo film ad esser passato in concorso a Venezia l’anno scorso e ora in sala proprio in corrispondenza con l’inizio della nuova edizione, Ritratto di famiglia di Roschdy Zem – in originale semplicemente Les Miens (I Miei) – si fece notare nella kermesse veneziana dove, tra l’altro, Zem si fece concorrenza da solo come co-protagonista di quell’altro gioiellino francese de I figli degli altri di Rebecca Zlotowski, una delle perle nascoste dell’ultimo concorso. Come si evince dall’evocativo titolo riecheggiante a Kore’eda e Visconti, Ritratto di famiglia è una storia familiare ed è il film perfetto per la nostra rubrica French Touch sul cinema francese (qui trovate le altre puntate). Quella di Moussa (Sami Bouajila), un uomo che è sempre stato punto di riferimento di amore e disponibilità per i suoi. La sofferenza di un abbandono sentimentale che non riesce ad accettare lo renderà vittima di un incidente con successivo trauma cranico.

In quel momento Moussa perderà tutti i freni inibitori e – nonostante non si riveli più la persona accomodante di un tempo – i suoi dovranno dimostrargli il loro amore. Con Ritratto di famiglia Zem firma un quadro familiare in cui, dietro le apparenze di un’idilliaca e amorevole convivenza, si cela il trionfo delle vanità. È incredibile come talvolta quegli stessi momenti di sofferenza che dovrebbero avvicinare sensibilità contrastanti si facciano terreno fertile per recriminazioni su chi faccia di più, su chi sia più presente e su chi ami di più, quasi come se si giocasse un campionato sentimentale. C’è chi ne approfitta per sbarazzarsi di alcune cose, perché consapevole che il malato non potrà opporre alcuna resistenza e chi giustifica la propria assenza dietro la scusa del lavoro.

C’è persino un complottista che non si (pre)occupa della malattia, in quanto sono le big pharma ad inventarsi patologie che in realtà non esistono. Una famiglia, secondo la rappresentazione che ne fa Zem in Ritratto di famiglia, è un luogo in cui l’amore può regnare solo andando oltre il proprio io e in cui pensare di amare – essendo criptici nelle manifestazioni d’affetto – non può mai essere abbastanza. Il rischio vero, quello sperimentato dal protagonista, è che, anche quando la stanchezza e l’aggressività andranno via, rimarrà la tristezza, la malattia più ardua da sconfiggere. A prestare il volto a Moussa quel Bouajila dotato di grande espressività messa al servizio di uno script incisivo e tagliente, che a Venezia fu insignito del premio come miglior attore in Orizzonti per Un figlio, a cui seguirà anche un César.

Scritto dallo stesso Zem a quattro mani con Maïween – ironicamente al cinema negli stessi giorni con il suo sesto film da regista, Jeanne du Barry – la favorita del re con Johnny Depp – qui anche come co-protagonista (nel film li vediamo rispettivamente nei ruoli del fratello e della cognata). Pare che in Francia si reiteri sempre più quel toccasana artistico di una giovane generazione pienamente a suo agio sia davanti sia dietro la macchina da presa: ne abbiamo qui una chiara testimonianza. Ritratto di famiglia no, non è un film innovativo e non rivela certo delle verità di cui non fossimo già consapevoli, non ci sono intuizioni particolarmente brillanti, né l’intensità di interpretazioni che vogliano farsi notare.

Eppure, ciò che apprezziamo di questo piccolo film è proprio il non avere velleità di essere un capolavoro e dunque l’affrontare con onestà il racconto di una semplice storia familiare e universale. È la storia di una famiglia e, in quanto tale, ci è familiare. E alla fine della proiezione torniamo a casa con la consapevolezza che, per quanti screzi possano in famiglia nascere dalla diversità e dalle piccole rigidità di ognuno, si è sempre in tempo per lasciarsi trasportare da una danza liberatoria sulle note di Beggin’, nella versione rassicurante e vintage dei The Four Seasons…
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Qui sotto potete vedere il trailer del film:
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