Una storia sbagliata? No, una storia tristemente interrotta. Perché nel 1991, quando Michael J.Fox si accorge, sul set di Doc Hollywood, che le sue dita tremano senza che lui riesca a controllarle, l’attore nato trent’anni prima in Alberta sembra ormai essersi affermato come una delle certezze della Hollywood che si appresta a iniziare il nuovo decennio: si è chiusa da poco la fortunatissima trilogia di Ritorno al futuro; Paul Schrader ne La luce del giorno e Brian De Palma in Vittime di guerra lo hanno appena testato in ruoli drammatici con risultati più che buoni e che aprirebbero teoricamente le porte di una seconda parte di carriera direzionata verso opere più adulte e mature.
Certo, per tutti Michael sarà sempre Marty McFly ed è giusto che sia così, ma nessuno in quel momento pensa che John Cusack e Matthew Broderick siano più bravi di lui oppure che soltanto Tom Cruise sia destinato a lavorare con i registi più importanti del pianeta. Perché lui non dovrebbe? Lo scopriremo sette anni più tardi, nel 1998, quando Fox annuncia al mondo intero di essere affetto da una grave forma di malattia di Parkinson.
E fino a quel momento il proseguimento della carriera aveva forse deluso chi si aspettava l’esplosione di Fox anche a livello “autoriale”: film come il buddy movie Insieme per forza o la commedia romantica Amore con interessi sono piacevoli, ma senz’altro non superiori ai cult del decennio precedente. Dopo l’inevitabile ritiro dalle scene, bisogna riconoscere che l’America non ha dimenticato Michael J. Fox: tanta televisione (Adventures of an Incurable Optimist), tante sitcom (Spin City, The Good Wife, The Michael J. Fox Show), quel commovente monologo alle Olimpiadi invernali di Vancouver durante la cerimonia di chiusura della manifestazione.
Però se oggi avessimo una Delorean come quella di Michael J.Fox non ci dispiacerebbe tornare indietro di trent’anni. E abbuffarci di Coca Cola e pop corn mentre ridiamo e ci spaventiamo per Voglia di vincere, oppure mentre guardando Ritorno al futuro realizziamo che da quel momento il cinema e la cultura pop non saranno più gli stessi.
Sì, sarebbe bello tornare indietro, fare la coda e pagare il biglietto anche per Il segreto del mio successo e Le mille luci di New York (o rivedere Casa Keaton). E poi discutere con gli amici se gli anni Ottanta saranno ricordati come una storia a lieto fine oppure come un’epoca di illusioni. Sì, sarebbe bello vestirci nuovamente Levi’s e sperare di cambiare in meglio il corso degli eventi, innamorarci della giovane amante di uno zio, ritrovare quella spregiudicatezza, quell’incoscienza, quella gagliardia.
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