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La 25ª Ora | Spike Lee, Edward Norton e quell’abisso dopo l’11 Settembre

New York, Monty Brogan, un monologo e l’illusione che sembra realtà. Anatomia di un capolavoro

Edward Norton è Montgomery Brogan con il suo Doyle ne La 25 ora.

ROMA – No, non è vero che tutto passa. Quella data di settembre non può passare, mai. Ritorna, ogni anno, ma non solo. Ritorna in momenti diversi e impensati, anche a oltre vent’anni di distanza. Perché ogni volta è sempre come se fosse la prima volta, nonostante i servizi in televisione siano più distratti e distanti, e le prime pagine dei giornali – sconvolte il giorno dopo – stiano ingiallendo piano piano, appese alle pareti di mezzo mondo, mentre una candela ormai consumata non brucia più. Eppure, il ricordo è ancora vivo. Per chi c’era, per chi l’ha vissuto. Per chi non c’era, per chi l’ha letto poi, solo sui libri di storia, oppure andando a cercare su YouTube le immagini di quel giorno in cui tutto cambiò per sempre e la gente si lanciava dalle torri di Manhattan.

Monty Brogan e il suo Doyle.

E ogni anniversario è come fosse ancora una strana prima volta. Figuriamoci quanto possa essere stato strano, per uno come Spike Lee, che ha l’intera New York nel sangue, avere avuto l’onere e l’onore di riprendere per primo, mestamente, lo squarcio in mezzo al cemento e all’acciaio (in)distruttibile del World Trade Center. Lo scruta da un grattacielo accanto, prima da lontano, poi da vicino, arrivando a guardare negli occhi il volto di chi, il giorno dopo l’attacco, con il coraggio in mano, ha costruito un monumento alla libertà ancora più vicina al cielo. E, quella scena, colpo al cuore e all’anima di uno dei suoi capolavori, La 25ª Ora, rimane ancora oggi tra le più importanti di tutto il cinema post 9/11. Anzi, di tutta la narrativa americana arrivata dopo.

La 25 ora
La scena: Barry Pepper e Philip Seymour Hoffman davanti a Ground Zero.

Impossibile dimenticare il dialogo che accompagna la sequenza, che diventa l’istantanea precisa di quel momento storico che fu per New York: «Il New York Times dice che qui l’aria è malsana», esordisce Jacob, interpretato da Philip Seymour Hoffman. «Ah sì? Beh, vaffanculo il Times, io leggo il Post. La sanità dice che è buona», gli risponde Frank, ovvero Barry Pepper. «Qualcuno racconta balle». «Già…». «Ma cambi casa?». «Cazzo, no. Neanche se Bin Laden ne lanciasse un altro contro il palazzo accanto», gli risponde Barry Pepper. Perché una cosa è chiara: tra cinema e realtà, non stanno parlando solo due amici. Ma otto milioni di newyorkesi che, ad andarsene, non ci hanno mai pensato nemmeno per un istante. Del resto: “You Cannot Stop New York City”.

Barry Pepper, Edward Norton e Philip Seymour Hoffman

Così, l’ultima giornata da uomo libero del loro amico Monty Brogan (Edward Norton), condannato a sette anni di prigione per spaccio di droga, diventa la storia intima di una città talmente grande da sembrare infinita. Tant’è che la celebre sequenza in cui Monty manda a fanc*lo ogni odore, colore ed etinia di Gotham, guardandosi allo specchio, sulle note del sassofono di Terence Blanchard, è invece una straziante dichiarazione d’amore ad ogni sfumatura di New York. Come quelle che si fanno quando non c’è più tempo, come quelle che si fanno quando non hai più nulla da perdere, e la rabbia diventa tristezza, per non aver fatto abbastanza. Come se, salvare un cane, sul Manhattan Bridge, non sia un po’ come salvare se stessi.

Rosario Dawson e Edward Norton

È (ancora, anzi di più oggi) un film incredibile La 25ª Ora, è un’opera eccezionale per come è arrivata e per come è rimasta, per come Spike Lee sia riuscito a scendere a patti con la sua collera sociale e politica, per come sia riuscito a reinventare la sua regia in funzione di una città intera. Mai sincopata, mai estremizzata. Lasciando ragionare Monty, lasciando che si godesse l’ultima volta con la sua Naturelle, lasciando che il pubblico si affezioni a lui. Un attimo prima della fine, un attimo dopo il terrore di quella giornata di settembre. E, se i premi valgono qualcosa, fu imbarazzante non solo la mancata nomination a Norton, ma la totale esclusione del film agli Oscar, dalla sceneggiatura non originale alla regia. Vinse solo un Golden Globe, per la colonna sonora.

Norton seduto su una delle iconiche panchine del Carl Schurz Park

E pensare poi che il libro da cui è tratto il film, scritto da David Benioff, è stato pubblicato precedentemente degli attentati, fa comprendere ancor più la grandezza di Lee, che concepì il film come una sorta di commento alla città, facendo sì che New York diventasse il personaggio principale. Dolente, mutilato, smarrito, disilluso. Assurdo, se ci riflettete, per quanto invece New York abbia costruito – letteralmente – il suo fascino sull’illusione. Una bellissima, illusione. Quasi vitale, miracolosa e necessaria. Quasi come quella sognata da Monty, credendo per un solo secondo che «C’è mancato poco che non succedesse mai…». La 25ª Ora, quanto dolore, quanta meraviglia prima che sui titoli di coda arrivi Bruce Springsteen con The Fuse ad aggiungere sale sulle ferite. Film da vedere e rivedere.

  • OPINIONI | Perché riscoprire Fa’ la cosa giusta
  • AUDIO | Il tema del film firmato da Terence Blanchard.

 

 

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