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TOP CORN | L’ultimo atto di Kim Ki-duk e del perché vedere Il prigioniero coreano

L’ultima svolta della sua carriera? Sì, prima di quella morte assurda a 59 anni. Ecco perché vederlo

Kim Ki-duk: nato nel 1960, è scomparso l'11 dicembre 2020 per COVID.

MILANO – Due nazioni adiacenti, ostili da decenni vissuti in una sorta di guerra fredda d’oriente e – proprio come URSS e USA – rette da regimi politici e ideologici diametralmente opposti: Corea del Sud e la Corea del Nord. Questo è l’humus narrativo su cui Kim Ki-duk allestì il suo ultimo dramma, una delle ultime cose girate anche se non lo sapeva: Il prigioniero coreano, disponibile su CHILI, un film in cui il cineasta – scomparso l’11 dicembre 2020 per complicazioni dovute al COVID – abbandonava le tinte forti e morbose de L’isola e Moebius, per girare forse la sua opera più politica che strizzava l’occhio a una maniera di far cinema “alla occidentale”.

Una scena de Il prigioniero coreano.

Ma di cosa parla Il prigioniero coreano? È la storia di un umile pescatore nordcoreano che pesca ogni giorno al confine tra le due Coree sotto gli occhi vigili dei militari. Un giorno però la corrente spinge la sua piccola barca verso le acque della Corea del Sud e lui viene fatto prigioniero dalle forze di sicurezza, interrogato fino allo sfinimento, poiché sospettato di essere una spia del Nord. Senza retorica Kim Ki-duk mette in scena la sciagura di un conflitto che travalica l’empatia, in cui il singolo individuo è piccolo piccolo dinanzi ai conflitti e alle ragioni di Stato. Nessuna apologia del capitalismo, né tantomeno un’invettiva contro il regime filo-comunista, piuttosto il desiderio di far emergere le contraddizioni di un’ostilità esasperata.

Perché nel Sud il protagonista trova tutt’altro che un mondo perfetto ed ideale: «Dove c’è una forte luce c’è sempre anche una grande ombra». Il regime del Nord, per contrasto, è l’entità superiore nella quale il pescatore si identifica. Sarà costretto ad una fedeltà integerrima al sistema e a condurre un’esistenza in contrapposizione con il capitalismo corrotto, ma non per questo l’autore si sente di condannare l’una o l’altra fazione. Lo slancio di innovazione della poetica di Kim Ki-Duk qui sembra evidente, non compare più quell’autoreferenzialità di cui fu criticato in passato, nel caso dei film successivi a titoli come Ferro 3 e Primavera estate autunno inverno… e ancora primavera. Un piccolo film da scoprire e da amare che amplifica ancor più il senso di perdita.

  • Volete (ri)vedere Il Prigioniero Coreano? Lo trovate su CHILI
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