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Paolo Calabresi: «Il cinema, le emozioni di Nada e il ritorno in Boris 4»

Il ritorno di Biascica, l’aspettativa dei fan e un grande schermo da salvare. La nostra intervista all’attore

Paolo Calabresi, foto di Fabio Lovino, grafica di Hot Corn
Paolo Calabresi, foto di Fabio Lovino, grafica di Hot Corn

ROMA – Quando gli chiediamo del cinema e dello streaming fa un paragone decisamente illuminate: «Il cinema? Come andare a mangiare il gelato dai Gracchi (nota gelateria di Roma, ndr.), mentre per lo streaming è come mangiare il confezionato. Buono uguale, però…». Ed è una chiacchierata lunga quella che facciamo con Paolo Calabresi, chiamato al telefono per farci raccontare del suo ruolo ne La Bambina che non Voleva Cantare, diretto dalla brava Costanza Quatriglio. Nel film (su Rai 1 il 10 marzo) interpreta Leonildo, maestro di canto di una giovanissima Nada. È lui, infatti, a spiegarle la musica e, soprattutto, il ruolo cruciale che ha l’amore. «Un ruolo emozionante», ci dice Calabresi, con cui abbiamo parlato anche dell’importanza strategica della sala cinematografica e, soprattutto, dell’annuncio della quarta stagione di Boris, anticipata così: «Non vedo l’ora di ricominciare. Boris è un miracolo».

Paolo Calabresi e Tecla Insolia, foto di Fabrizio di Giulio
Paolo Calabresi e Tecla Insolia, foto di Fabrizio di Giulio

Paolo, La Bambina che non Voleva Cantare gioca molto sulla memoria. Che emozioni ti ha suscitato?

«Devo dire che non è una memoria sull’immaginario collettivo, non si dice molto di quello che abbiamo vissuto noi, da fruitori. In fondo non è un film celebrativo, e vengono fuori diversi ombre di Nada. Mi ha emozionato molto in fase di lettura, c’è stato coraggio nel raccontare la parte più nera, escludendo la parte patinata che ricorre in certe fiction italiane. Del resto dietro c’è Costanza Quatriglio, e ho subito capito fosse una roba forte. Se vai a vedere il documentario che ha realizzato ci sono quasi gli stessi elementi: semplicità e sentimenti. In fatto di emozioni, c’è qualcosa di struggente, che sento molto vicine a me, del resto vengono da una famiglia che ha forte tradizioni popolari. Il senso di distacco che la vita ti porta ad aver può essere doloroso e lancinante. E questa è un’emozione grande».

Da questo professore innamorato della musica e dell’amore, cosa hai imparato?

«Il mio personaggio vive fuori dal proprio tempo. È lui che fa scoprire l’amore a nada, pur non avendolo. Vive con la mamma, è un uomo incompiuto. Grazie a Nada però assistiamo ad uno strano fiorire della sua vita sentimentale. Ne avevamo discusso con Costanza: magari alla fine avrebbe dovuto trovare una figura femminile, ma ne abbiamo fatto a meno perché sarebbe sembrato didascalico. Nel tempo si ammorbidisce e il percorso che fa Nada è lo specchio della sua crescita».

Paolo Calabresi
Paolo Calabresi è Leonildo in La Bambina che non Voleva Cantare, foto di Fabrizio di Giulio

Lui, ossessionato da Mina. E tu? Ossessioni musicali?

«Dipende, ho vissuto con una tata sarda che mi faceva sentire la musica popolare italiana, quella spinta al massimo. Mi ricordo di Gianni Nazzaro, dei Giardino dei Semplici, e c’era Claudio Villa in mezzo. Questo mi ha condizionato. E tendo a tornare indietro nel tempo. Dentro queste canzoni c’erano sprazzi di genialità. Mi ricordo poi il primo De Gregori, il primo Dalla. La nascita del cantautorato, ecco».

Il film della Quatriglio si distacca molto dai biopic televisivi visti ultimanente.

«Mi sembra di sì, c’è stata una concorrenza che ci ha allontanato da Gli Occhi del Cuore, per citare Boris. Ma c’è ancora una tendenza che cerca di accontentare un blocco forte di pubblico, e c’è quindi una ragione di marketing. Un pubblico che vuole forse pensare meno, senza essere parte integrante, che non deve contribuire. Però si è migliorato sotto questo aspetto, data la concorrenza forte. C’è una catena di eventi: il cinema che sta un po’ scomparendo, e le piattaforme che appiattiscono un po’ i contenuti. Così le generaliste sono costrette ad alzare il livello, lasciando di più spazio alla qualità».

la bambina che non voleva cantare
Una scena del film

Ecco, cinema e digitale. Che ne pensi?

«La programmazione per il cinema è diventa complessa, la gente si abitua subito alla comodità. Inconsciamente rimarrà la paura di stare in tanti dentro una stanza. Però va sottolineato bene quanto ci sia una differenza abissale tra un 65 pollici e un grande schermo. In poltrona non avrai le stesse cose di un teatro, la condivisione di un’emozione. Anche il cinema è uno spettacolo dal vivo, vissuto dal vivo. Stiamo perdendo molto, andiamo verso la morte di questo spettacolo, chissà».

E questa teorica riapertura di fine marzo?

«Sono favorevole alla riapertura ma sarà un bagno di sangue, se non c’è un rientro sarà dura».

Arriviamo a Boris. La notizia della quarta stagione è eclatante. Lo sapevate prima dell’annuncio?

«Non lo sapevamo, e ancora non lo sappiamo in modo dettagliato. Nel tempo non abbiamo mai staccato da Boris. Così come il pubblico, e sono impressionato dalla sua potenza. A scuola di mio figlio si cita Boris, e lui ha 15 anni. Lo hanno scoperto adesso, una sorta di miracolo. Boris ha attraversato generazioni».

Paolo Calabresi è Biascica. Qui in una foto da Boris - Il Film
Paolo Calabresi è Biascica. Qui in una foto da Boris – Il Film

Quindi sei entusiasta di ritrovare il tuo Biascica.

«Sì, perché, al netto dell’amicizia forte che avevamo fuori e dentro il set, dagli autori agli attori, ho sempre pensato si potesse fare una nuova stagione, poi cause forze maggiori ci ho rinunciato. Quando c’era Mattia Torre dissero che non c’erano le condizioni perché era cambiato il mercato: la scelta in tv era più ampia, e non c’era solo Libeccio (ridiamo molto, ndr.). Era un discorso che forse reggeva, ma forse anche no. Mattia sapeva che non aveva tanto tempo davanti a sé, e aveva bisogno di fare altro. Loro non hanno mai delegato nessuno, piuttosto litigavano ma vivevano di Boris. Non c’era disgregamento, non davano pagine da scrivere agli stagisti. Facevano tutto. Ripeto, forse il no ad una quarta stagione arrivava da un bisogno sacrosanto di Mattia, che si era concentrato tanto sul teatro. Per esempio, io e Aprea, con lui, abbiamo fatto Qui e Ora».

L’entusiasmo dei fan dovrebbe aiutare.

«È una scommessa, mancano delle persone, e ci sono dieci anni più. Da una parte aiuta l’entusiasmo, da una parte terrorizza perché c’è tanta, tanta aspettativa».

Vi siete sentiti con gli altri?

«Ci siamo sentiti, non sappiamo bene le cose, ma penso inizieremo a girare a breve, in estate. Ho avuto modo di leggere delle cose, e sì… Boris c’è».

E qui René Ferretti che annuncia Boris 4:

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