MILANO – Un argomento impossibile da toccare. Un documentario che sfiora la psicanalisi. Una regista che mette in scena il proprio dolore cercando di rompere il muro di uno dei tabù della società contemporanea: il suicidio. Tra le cose imperdibili presentate a DocuDonna – il festival di Massa Marittima sul documentario a regia femminile, in scena fino al 10 ottobre – c’è sicuramente Why didn’t you stay here for me?, documentario breve e fulminante che finisce di diritto nella nostra sezione DocCorn. Diretto dalla regista olandese Milou Gevers (qui il suo sito), il film racconta la vita di quattro bambini dopo il suicidio di un genitore, raccontando anche quello che ha vissuto la regista, costretta a crescere dopo il suicidio della madre.
LA RICERCA – «No, non è stato semplice trovare i bambini disposti a raccontare la loro storia, soprattutto all’inizio. Ma poi, una volta incontrati alcuni di loro e condiviso la mia storia personale, hanno capito che avevamo tutti lo stesso obbiettivo: avviare una conversazione sull’argomento, ascoltare la voce di chi rimane. Durante la ricerca ho incontrato venticinque bambini diversi, ascoltando le loro storie. Alla fine ho scelto i quattro che vedete perché le loro storie in qualche modo si completavano e perché mi sembravano anche i più resilienti. Non volevo traumatizzarli facendoli parlare in pubblico, al contrario. Volevo guarissero il trauma affrontandolo davanti a una telecamera…».
L’ANIMAZIONE – «Volevo utilizzare l’animazione durante le quattro interviste perché sapevo bene che gli incontri filmati sarebbero stati molto intensi dal punto di vista emotivo e intuivo che lo spettatore avesse bisogno di un momento di respiro tra le varie testimonianze. Non solo: l’animazione ha anche reso il mio viaggio tangibile, mostrando la mia profonda connessione con questi bambini. E poi l’uso di questa specie di cartone animato ha reso possibile trasportare in immagini comprensibili a chiunque i miei sentimenti riguardo la mia storia personale. Sono simboli che chiunque capisce…».
I RIFERIMENTI – «No, nessun riferimento ed è proprio per questo che ho voluto girare Why didn’t you stay here for me?. Non c’era niente di simile, nessuno aveva mai provato a fare una cosa così. E poi c’era un altro motivo per cui volevo provarci: crescendo non ho mai riconosciuto e visto la mia storia raccontata da nessuno dei media e non sapevo di non essere sola, che c’erano altri bambini costretti a vivere quello che stavo vivendo io, con un genitore suicida. Non sapevo che i miei pensieri e i miei sentimenti erano normali. Così ecco che questo documentario serve anche per far capire ai bambini di tutto il mondo che hanno perso un genitore per suicidio che non sono soli. Non sono gli unici…».
I BAMBINI – «Sono rimasta in contatto con i bambini e con le loro famiglie, ovviamente, anche se a causa del COVID non abbiamo potuto vederci per un po’. Però parliamo spesso e ci tengo a sentirli. Lavorare a questo documentario mi ha dato anche molto coraggio per riuscire a parlare apertamente di un argomento tabù come il suicidio di un genitore e mi ha anche aiutato nel rivedere me stessa in questi bambini. Sapere che il documentario avrebbe potuto aiutarli, ha aiutato anche me…».
- IL DOCUMENTARIO | Ma come filmare l’infilmabile?
- IL TRAILER | Qui il trailer di Why didn’t you stay here for me?
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