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Valerio Aprea: «Mattia Torre? In Figli ha trasformato le lacrime in meraviglia»

Un ritratto dell’autore nelle parole di un amico e attore. «Il film? La nostra festa per lui»

Mattia Torre
Valerio Aprea in Figli. Foto di Andrea Pirrello

ROMA – Chi ha avuto la fortuna di vedere uno spettacolo teatrale di Mattia Torre sa già che le sue parole fanno molto ridere. Fanno ridere se le si leggono – il libro In mezzo al mare (Mondadori) raccoglie e ridisegna i suoi sette atti comici – fanno ridere quando vengono recitate da attori che sanno come farle arrivare al pubblico. Questo perché Torre è stato un grande scrittore umoristico, forse il migliore di questi ultimi vent’anni. Quanti sanno prendere i momenti più assurdi della vita e trasformarli in commedia, senza mai perdere di vista l’umanità (e quindi la fragilità) di ognuno di noi? Pochi. Perché a sbertucciare vizi e virtù dei terrestri basterebbe un cabarettista da sabato sera con spirito di osservazione. Ma la vera natura umana no, quel complesso intreccio sentimenti, quel saliscendi continuo tra illusioni e delusioni, bisogna saperla raccontare ad arte.

Mattia Torre
Un’immagine di Mattia Torre

Mattia Torre è stato, assieme a Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico, l’anima di Boris, una delle più geniali produzioni televisive italiane. Oltre all’adattamento cinematografico della fuoriserie, assieme ai due soci ha diretto Ogni maledetto Natale ed è stato autore di Parla con me per Serena Dandini e dello show di Corrado Guzzanti, Dov’è Mario? per Sky. Nel bellissimo La linea verticale, infine, ha raccontato in maniera toccante e senza ricatti la sua malattia. La morte di Torre è stata quindi una vera sciagura. Il bello dell’arte, in ogni sua forma, però, è che alla fine permette all’autore di sopravvivere e dà a tutti noi la possibilità di continuare a goderne.

Mattia Torre
Una scena di Figli. Foto di Andrea Pirrello

Così Figli, è ora un’opera amata da tutte le persone che ci hanno lavorato, diventata, dopo la scomparsa di Torre, una grande festa. Ma che autore è stato Mattia e perché è stato così importante? Lo abbiamo chiesto a Valerio Aprea, che a Torre è stato legato da una grande amicizia oltre che da un legame professionale solido. Valerio è ovviamente presente in Figli nei panni del “padre separato”, genitore infelice in crisi stabile, tormentato dickensianamente dal fantasma della moralità cattolica (Fabio Traversa, epocale Fabris di Verdone e già con Moretti).

Mattia Torre
Valerio Aprea e lo spirito malvagio di Fabio Traversa. Foto di Andrea Pirrello

Valerio, quanto è stato difficile per tutti voi, amici di Mattia lavorare a Figli?
«Paradossalmente non è stata così tosta, parlo a nome mio, ma penso di poterlo fare anche per gli altri. Tutta questa vicenda l’abbiamo vissuta in maniera inopinatamente festosa. Certo, è stata dura, ma non ho ma fatto pensieri tristi, accorati, struggenti, di disperazione. È stato tutto sempre festosissimo e spero questo arrivi dal film. Anche le lacrime più amare che possono essere uscite fuori, comunque, possedevano sempre una componente di meraviglia e di incanto. Di soprannaturale».

Mattia Torre
Valerio Aprea durante una lettura del monologo di Mattia Torre, Gola

Puoi raccontarci la fortuna di poter lavorare con un autore che in più di un’occasione ha creato un personaggio su misura per te?
«Il caso più eclatante è stato quello di In mezzo al mare che nel 2003 mi mandò, chiedendomi cosa ne pensassi. Io caddi dalla sedia. Lo chiamai per sapere perché mi avesse proposto questa cosa. Rispose che pensava fossi giusto. Talmente giusto che avrei potuto scriverla io se solo ne fossi stato capace. Ero folgorato dal vedermi recapitare quella cosa che era così perfetta per me e che risuonasse così tanto. Poi in altri casi ci sono state cose che lui ha scritto pensando a me e non solo a teatro, posso dirti Dov’è Mario?. O appunto Figli. Quando ho letto la parte ho capito che lui l’aveva fatta per me. Effettivamente parla il mio linguaggio o quello che lui sapeva essere il mio linguaggio».

Mattia Torre
Valerio Mastandrea e Valerio Aprea durante la commemorazione di Mattia Torre all’Ambra Jovinelli

E dopo, nella fase preparatoria di uno spettacolo come lavoravate insieme?
«Lì, c’era poco da aggiungere, era talmente tutto perfetto che pretendevo – e pretendo ancora oggi – che non si cambiasse una virgola delle cose scritte da lui. Le poche volte in cui mi sono permesso di dirgli qualcosa lui mi ascoltava e ci siamo sempre intesi alla grande».

Mattia Torre
Valerio Aprea, Massimo De Lorenzo e Andrea Sartoretti

In Boris Torre ha preso in giro gli sceneggiatori attraverso i ruoli interpretati da te, Massimo De Lorenzo e Andrea Sartoretti. Altro che difesa della categoria…
«Mattia, Giacomo e Luca sono sempre stati spietatissimi con sé stessi è un’autocritica micidiale e iperlucida. C’è un’analisi sarcastica della categoria e di quelli che sono effettivamente così e riescono ad ottenere grandi compensi a fronte di bassa qualità del prodotto. La loro grandezza è stata quella di immaginarsi in quelle vesti, come a dire anche noi, se volessimo, saremmo tre figli di una buona donna e potremmo benissimo campare di rendita facendo l’impepata di cozze. In quell’allegoria ci ho sempre visto l’onesta ammissione che in ogni sceneggiatore c’è lo sceneggiatore di Boris, in potenza. Le cialtronaggini latenti le possiamo fare, poi grazie al cielo sono l’esatto opposto».

Mattia Torre
Valerio Aprea e Paolo Calabresi nello spettacolo di Mattia Torre, Qui ed ora

Perché Mattia Torre è stato così unico?
«Per la qualità della sua forma di intelligenza. Tutti noi siamo portatori di una qualche forma d’intelligenza. La sua è la più speciale io abbia mai incontrato nella mia vita. La più speciale. E questo si traduceva nella scrittura e nella vita, nella qualità della relazione con lui, nello scambio verbale, comunicativo. È la persona che più mi ha condizionato, accresciuto, arricchito, formato, modificato. Anche solo a livello lessicale. Il lessico quotidiano abituale di Mattia è un marchio di fabbrica che non ho più incontrato. Era portatore di una forma di raffinatezza mentale, senza pari».

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