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Rachid Benhadj: «Matares, il dramma dell’emigrazione e il potere del cinema»

La favola di Adamo, i rifugiati e l’arte come apertura e tolleranza: il regista si racconta a Hot Corn

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MILANO – Dal regista di Mirka e Il pane nudo, un film che è anche un documentario sulla tragica odissea dei migranti. Matares, diretto da Rachid Benhadj appena arrivato in digitale su CHILI, racconta una storia che è la storia di migliaia di persone, le stesse che ogni giorno rischiano la vita per tentare di conquistare un futuro migliore. Un dramma disgraziatamente troppo reale, reso ancora più drammatico dal fatto che i protagonisti sono dei bambini, in una rappresentazione che colpisce nel profondo. La sofferenza e le difficoltà di un viaggio che dalla Costa d’Avorio e attraverso l’Algeria dovrebbe condurre in Italia ma che spesso incontra tanti (troppi) ostacoli. Abbiamo contattato il regista per parlare del film, dei suoi piccoli protagonisti e della necessità di raccontare queste storie, oggi.

Un momento del film

Da dove è nata l’esigenza di raccontare la storia di Mona?

«Fin dai primi passi nel cinema, ho sempre messo lo sguardo e quello della macchina da presa a disposizione dei più deboli dando loro la possibilità di esistere attraverso i miei film. Ho cominciato realizzando un documentario sui rifugiati nordafricani che all’epoca vivevano in una grande baraccopoli di Nizza che ospitava più di tremila persone e avevo raccolto un bel po’ di storie che denunciavano le condizioni disumane in cui vivevano gli emigranti. Alla fine, la baraccopoli fu perfino bruciata da un gruppo di razzisti francesi. Dunque, raccontare la storia della piccola Mona in Matares, la ragazza africana fuggita dal suo paese in guerra che con la sorellina e la madre incinta rischia la vita attraversando il deserto per arrivare in Algeria, finendo in una baraccopoli, ha fatto riaffiorare in me il ricordo delle vicende accadute a Nizza e il ricordo dei miei amici emigranti».

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Una scena di Matares

Un elemento particolare è che Mona racconta l’odissea dei migranti attraverso la storia di Adamo. Perché ha scelto di usare questo paragone?

«I bambini molto spesso non capiscono la complessità dei problemi che scuotono il mondo o la loro vita. Per fuggire da una realtà difficile da accettare e sopportare, si rifugiano nel sogno, nella fantasia. Mona ha solo otto anni, non sa perché ha dovuto lasciare il suo paese, la Costa d’Avorio, i suoi nonni, le sue amiche. Non comprende perché una volta arrivata in Algeria deve mendicare per guadagnare soldi che sì, servono a pagare chi che la porterà dal padre in Italia, ma che non bastano mai. Da subito guardiamo le cose attraverso il suo sguardo. La ragazzina ripete, adattandola alla sua realtà, la favola di Adamo, il primo uomo come lei costretto a lasciare il suo regno, cioè il Paradiso, per andare alla ricerca di un nuovo posto dove vivere. Mona ci racconta che Adamo è stato cacciato dal Paradiso per aver fatto una stupidaggine, ma lei non capisce per quale motivo Dio l’ha punita».

Un’immagine del film

Lei è stato premiato come Ambasciatore dell’umanità dal CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati). È importante raccontare queste storie oggi?

«Essere premiato come Ambasciatore dell’Umanità è un grande onore. È un premio che mi dimostra di non essere solo in questa lotta contro l’intolleranza e il razzismo. Nel 2000 avevo già ricevuto dall’UNESCO la medaglia del 50° Anniversario dei Diritti Umani per il mio film Mirka, un premio prestigioso che fu assegnato per la prima volta ad un artista e non ad un politico. Il film fu considerato un’opera che contribuiva alla politica della pace».

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Un’immagine del film diretto da Rachid Benhadj

Cosa deve rimanere al pubblico del messaggio di Matares?

«Non faccio film per trasmettere messaggi ma semplicemente per condividere con lo spettatore le sensazioni e le emozioni che mi hanno spinto a raccontare la storia di una bambina che la dura realtà non è riuscita a distruggere. Al contrario, Mona era stata capace di sopportare la sofferenza dell’esilio e il razzismo creando un mondo onirico e fatato dove rifugiarsi per sopravvivere alla violenza. Mona assomiglia al piccolo principe di Saint-Exupéry e come lui sa che i fiori parlano e che bisogna saperli ascoltare».

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Una scena di Matares

Crede che il cinema possa contribuire a sensibilizzare su questioni importanti come il dramma dei migranti?

«Il cinema e l’arte in generale hanno un ruolo importante nel contribuire a una maggiore conoscenza e apertura verso le altre culture. I nostri ragazzi hanno bisogno di saperne di più su ciò che accade fuori dal loro piccolo mondo di privilegiati, per cancellare i pregiudizi e i cliché che i media trasmettono ogni giorno. Vedere e capire gli altri ci permette forse di essere più tolleranti e di accettare gli altri più facilmente, anche se sono diversi da noi».

Qui potete vedere il trailer di Matares:

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