MILANO – Chi scrive aveva quindici anni quando morì Alberto Sordi. Primo anno di liceo, uscita dopo la prima ora per l’Assemblea d’Istituto disertata dai più. Tutti in Piazza dei Re di Roma ad assaporare una di quelle prime esperienze da grandi. A interrompere la spensieratezza del momento una telefonata che ci avvertiva della sua morte. Perché Alberto Sordi, specie per i romani, è sempre stata una figura familiare, un vero e proprio affetto che ha fatto parte, in sottofondo, delle varie tappe che hanno segnato l’Italia.
E in Alberto Sordi. Una vita tutta da ridere (edito da Castelvecchi Editore), il regista e scrittore Italo Moscati, per il centenario della nascita dell’attore, ne ripercorre la vita intima e artistica in cui s’intreccia quella dell’Italia del dopoguerra. «Io vivo di esibizionismo da quando sono nato, perché lo pratico da professionista» diceva di sé Sordi. Nato nel 1920 nel cuore di Trastevere, a San Cosimato, da Pietro, professore di musica e strumentista nell’orchestra del Teatro dell’Opera di Roma, e Maria, insegnante elementare, Sordi aveva «un’energia che avrebbe segnato la sua vita, la sua fortuna».
Poco importa allora della bocciatura alla scuola di recitazione filodrammatica di Milano per l’inflessione romana troppo marcata. Il ritorno a Roma segna l’inizio di un percorso lungo quarant’anni, dai primi ruoli come comparsa a Cinecittà alla fama di Albertone nazionale. In mezzo oltre duecento film, collaborazioni con Vittorio De Sica, Federico Fellini, Mario Monicelli, Ettore Scola, Sergio Corbucci e l’esordio dietro la macchina da presa. Un attore autore che ha raccontato l’Italia attraverso i suoi personaggi di pari passo con i suoi cambiamenti sociopolitici.
Dall’invasione americana e la stagione di Hollywood sul Tevere agli anni d’oro di Cinecittà, dai locali di Via Veneto pieni zeppi di star alla cronaca nera che tornava in prima pagina dopo la censura fascista. Teatro, radio, cinema e televisione. Italo Moscati in Alberto Sordi. Una vita tutta da ridere racconta le varie stagioni che hanno accompagnato la carriera e la vita di Albertone incoronandolo mito. Filo rosso a legare i vari capitoli (letterari e di vita) i versi della canzone Una storia impressionante. «Quel bambino con le fasce da neonato non è altri che un uomo abbandonato. Chi è? Chi sarà? Chi è, chi sarà?».
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