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L’Oro del Reno | Lorenzo Pullega, un fiume e quel viaggio tra favola e realtà…

Un mockumentary che esplora il fiume Reno raccontato dalla voce di Neri Marcorè

Rebecca Antonaci in una scena de L'oro del Reno.

MILANO – No, il Reno italiano probabilmente non gode certamente della stessa fama del suo omonimo fiume tedesco, ma le sue rive offrono comunque un affascinante pretesto narrativo per far partire L’oro del Reno, il film di Lorenzo Pullega presentato al Bellaria Film Festival dopo essere stato premiato al Bif&st di Bari. Perché? Perché quelle zone diventano, nelle mani del regista, il punto di partenza per un intreccio di storie che mescolano folklore, leggende e – forse – un pizzico di verità nella ricerca della bellezza tra le piccole cose. Un viaggio che propone uno sguardo insolito sulle persone che hanno attraversato il fiume e quelle stesse terre e quindi, in una sorta di etnografia del luogo, il film restituisce – immagine dopo immagine – ritratti vividi, ricchi di umorismo e punteggiati da una fantasia dal sapore fiabesco.

L'Oro del Reno
Un momento de L’Oro del Reno

Ma di cosa parla L’oro del Reno? Di un regista (con la voce di Neri Marcorè) che viene incaricato da un eccentrico circolo locale di realizzare un documentario che lo porta ad intraprendere un viaggio dalla sorgente alla foce del fiume Reno, che rimane comunque il fiume più lungo dell’Emilia-Romagna dopo il Po: 211 km, il decimo fiume italiano per lunghezza. Il compito del regista? Quello di raccogliere storie sospese tra presente e passato, ascoltando le voci che abitano quei luoghi. Quello che inizia come un semplice itinerario nei luoghi dell’infanzia si trasforma lentamente in un percorso visionario e profondo.

Lorenzo Pullega
Il regista Lorenzo Pullega sul set del film

L’Oro del Reno si apre come un mockumentary, per poi scivolare lentamente in una struttura episodica guidata dalla voce – mai dal volto – di Neri Marcorè. È lui, alter ego del regista, il nostro Virgilio, che ci accompagna in un viaggio sospeso tra l’onirico e il folkloristico. Il film gioca costantemente con il suo equilibrio (meta)narrativo, oscillando tra l’ambizione autoriale e l’autoironia, senza mai prendersi troppo sul serio. A rafforzare questo legame troviamo un caustico umorismo romagnolo, irresistibile persino per l’impostazione da documentario BBC della voce di Marcorè. Il risultato è un film sul territorio autentico, inevitabilmente sincero.

L'Oro del Reno
Una scena che illustra il tema del film: scoprire la preziosità nel quotidiano.

Nei suoi episodi dal sapore bunueliano, L’Oro del Reno a tratti perde il fuoco centrale sul fiume, ma le storie restano potenti e ben costruite, tra evidenti suggestioni felliniane e una tavolozza di colori che richiama il cinema di Wes Anderson. Come spesso accade nelle opere prime, certi stilemi sembrano inevitabili, ma Pullega li maneggia con consapevolezza, e grandi intuizioni visive. Alcune sequenze si trasformano quasi in quadri, nella sua costante ricerca di un’estetica espressiva, mentre i personaggi che incontriamo scorrono come un unico flusso vitale: quello del fiume, metafora dell’esistenza stessa.

L'oro del Reno
“Il film è un viaggio lungo un piccolo fiume che porta un grande nome. Un’Odissea attorno a casa”

Il dialogo tra il meta-regista e i suoi attori (attenzione a Rebecca Antonaci vista in Finalmente l’alba) assume toni fiabeschi, sospesi tra il fantastico e il concreto, quasi come se fosse un bambino a raccontare storie agli adulti che rimangono incantati e non si sa il perché. In questo personale racconto dei racconti, ecco che allora molti personaggi si rivelano, in fondo, come bambini mascherati proprio da grandi. E quando il fiume si getta nel mare, il gioco de L’oro del Reno si completa: ritrovarsi piccoli di fronte all’immensità…

• VIDEO | Qui l’intervista a Lorenzo Pullega e a Rebecca Antonaci
VIDEO | Qui l’intervista ai produttori Antonio Manetti e Piergiorgio Bellocchio

  • VIDEO | Qui il trailer del film:

 

 

 

 

 

 

 

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