È la novità seriale più attesa dell’estate, e promette una dose supplementare di adrenalina. E, dopo tanto fermento, ormai ci siamo: Tom Clancy’s Jack Ryan arriva su Amazon Prime Video il 31 agosto. Ispirata all’omonimo bestseller, vanta il marchio di fabbrica di Carlton Cuse (Lost) e la presenza di John Krasinski in qualità di produttore, oltre che di interprete. Il trentottenne marito di Emily Blunt si trova di fronte ad una delle sfide più complesse della carriera, con la serie che, ancor prima di uscire, è stata già rinnovata per la seconda stagione. Il suo alter ego, nato dalla penna di un gigante della letteratura come Clancy e declinato in videogame e film fin dagli Anni Novanta, è un analista CIA che si ritrova coinvolto in una delicata missione sul campo, la prima, per sventare un complotto terroristico. Un novellino, insomma, a cui è affidato il destino dell’umanità, come spiegato dall’attore stesso, durante l’incontro con Hot Corn.

LA SFIDA «Davvero qualcuno ha vestito i panni di Jack Ryan prima di me? (scherza ndr.) Nessuna pressione, per carità. Questa storia è articolata e non stupisce che venga declinata in vari adattamenti. Lo vediamo crescere, lo seguiamo fin dall’inizio, prima ancora che l’avventura cominci, è un ragazzo normale, con cui ti verrebbe voglia di prenderti un drink, uno il cui unico superpotere è il cervello, anzi, magari fossi così intelligente! Per me è stata una sfida incredibile perché voglio una carriera diversificata, che passi da una piece teatrale a New York alla regia di A Quiet Place».

I LOVE JACK «Sono il primo ammiratore di Jack perché ha una caratura morale che non vacilla, una brava persona messa a dura prova. È questo che cerco quando leggo un copione: personaggi umani, che abbiano dei difetti a cui ci si può relazionare. Devono fare i conti con i propri limiti, certo, ma ci provano fino alla fine. In effetti Jack si vede come un fallimento, un po’ come chiunque cerchi di cambiare, magari soffrendo. La vita, insomma, non ha il lieto fine…».

TRUE HERO «Ci sono tanti eroi quotidiani, che nell’ombra ci proteggono. So che c’è un’inflazione di “salvatori”, soprattutto con superpoteri, ma stavolta la situazione è diversa. Il mio eroe, ad esempio, è mio padre, e se solo riuscissi ad essere un genitore bravo, un quarto di quanto è lui, allora mi riterrei soddisfatto. È un uomo che crede nel suo paese, orgoglioso delle radici, pieno di speranze nell’umanità, più che nella politica. Da piccolo, invece, avevo un’ammirazione totale per Batman. Oggi? Preferisco i ragazzi di Stranger Things».

A QUIET PLACE 2 «Un sequel di A Quiet Place? Sto vagliando varie idee per la sceneggiatura, sono contento che si farà, anche se la genesi del primo è stata piuttosto complessa, soprattutto da un punto di vista logistico. Avevo finito le riprese di Jack Ryan da appena cinque giorni e mi sono ritrovato catapultato sull’altro set e, da regista, ero alquanto impreparato su quello che sarebbe successo. Sentivo sulle spalle tutto il peso del lavoro di ogni singola persona coinvolta nel progetto, a partire da mia moglie Emily. Il risultato positivo mi ha permesso di sperimentare altro e di alzare l’asticella. Se fosse stato un disastro, invece, me ne sarei tornato in panchina con a coda tra le gambe».

FAMILY MAN «Per me e per Emily le nostre due figlie (Hazel e Violet, ndr.) vengono al primo posto, ma alcune volte gli incastri di lavoro sono complessi. Mentre giravo Jack Ryan lei era alle prese con Mary Poppins, ma cerchiamo di tenere bene a mente le priorità. Siamo entrambi fortunati perché per ora le bambine non hanno pigiama party o partite di calcio a cui noi genitori dobbiamo presidiare, quindi abbiamo l’opportunità di trascorre con loro del tempo prezioso in luoghi splendidi, anche mentre lavoriamo».

IL SOGNO «Vorrei dirigere un action, mi sento pronto a prendermi questo rischio, anche se la vita è imprevedibile e mai avrei pensato di fare il regista di un horror. Di solito non guardo al genere, ma tengo l’attenzione soprattutto al messaggio che c’è dietro. Sono un nerd, lo ammetto, e credo davvero che lo show business non sia solo semplice intrattenimento…».
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