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John Belushi, il grande assente ingiustificato. Tra folli risate e anarchia

Irriverente, trascinante, punk, iconoclasta. Sì, ma perché Bluto continua a mancarci tanto ?

John Belushi
John Belushi in una scena di Animal House. Belushi morì il 5 marzo 1982

MILANO – Sì, è vero: oltre gli anniversari, le date da celebrare e il ricordo a comando, noi rimarremo per sempre orfani. Orfani di John Belushi. Perché? Perché mai – al cinema o nella vita – ci sarà un altro Bluto Blutarsky oppure un altro Jake Blues, nonostante la stampa americana abbia più volte cercato di individuare un erede, ossessionata da un’eredità che però è impossibile da raccogliere. Per chiunque il paragone sarà sempre lui: con Animal House, l’attore di origine albanese aveva ridefinito il termine di corpo comico. Trascinante, irriverente, senza freni: nel film di John Landis, il solo Belushi capovolgeva e stravolgeva la stessa concezione di college movie, declinando il significato demenziale in maniera inedita, coniugandolo con quello di punk e iconoclasta.

John Belushi in una scena di Animal House. Era il 1978.

Una carriera troppo breve, dove i successi si sono alternati agli insuccessi, che si è spenta il 5 marzo 1982 in quel maledetto bungalow del Chateau Marmont, 8221 su Sunset Boulevard. Ma i marchi del National Lampoon e del Saturday Night Live devono la loro fortuna e la loro notorietà a quei soli trentatré anni di vita, di esuberanza, di toga party e di bottiglie di Jack Daniel’s trangugiate in un sorso. Verrebbe quasi da credere si sia davvero trattata di una missione per conto di Dio: quella di un profeta la cui parola si è rivolta a tutti coloro che non sono mai stati presi come esempio, tutti quelli che hanno sempre detestato i ragazzi modello.

John Belushi
John Belushi con Aretha Franklin e Dan Aykroyd sul set di The Blues Brothers, 1980.

Sarebbe però riduttivo – e anche pigro, e accade spesso soprattutto oggi – soffermarsi soltanto sui ruoli di anarchico e distruttore, sottovalutando l’attore dietro la maschera: perché solo il tempo ha proibito a John Belushi di spogliarsi degli abiti romani o di levarsi i Ray-Ban e il completo, e indossare quelli ordinari di un interprete sensibile, di abbandonare il diavolo del rhythm and blues e abbracciare magari i demoni dell’heavy metal, o fare pace con il proprio inferno interiore e rasserenarsi sulle melodie di un futuro più pop e meno hardcore.

John Belushi
Con Blair Brown nel sottovalutato Chiamami aquila, 1981.

Quello che sarebbe potuto essere e non è stato, oggi possiamo soltanto fantasticarlo: recuperando Chiamami aquila, per esempio (introvabile in streaming però) che ad oggi rimane forse il più grande rimpianto, una commedia intelligente e moderna in cui interpreta un giornalista d’assalto costretto a lasciare la città dopo essersi scagliato contro un assessore corrotto, e in esilio sulle Montagne Rocciose scoprirà (inaspettatamente) l’amore. Un’interpretazione per cui Belushi diede tutto se stesso, sottoponendosi a faticosi allenamenti e arrivando a perdere venti chili.

L’ultimo atto: I vicini di casa, uscito nel dicembre del 1981, due mesi prima della morte.

E perché non concedere una seconda possibilità a I vicini di casa, all’epoca – era il dicembre del 1981 – frettolosamente massacrato da critica e pubblico. Scoprirete che l’esigenza di John era quella di smarcarsi dall’etichetta di buffone e guastafeste, di reinventarsi e mettersi in gioco, rifiutando il santino dell’anticonformista, proprio lui che santi e protettori li avrebbe presi a calci, proprio lui che oggi viene evocato come un mito da portafoglio. No, era molto di più. Tocca a noi riscoprirlo, continuamente.

  • Volete leggere altre Legends? Le trovate qui 
  • VIDEO | Qui una clip in lingua originale di Chiamami Aquila:

 

 

 

 

 

 

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