FIRENZE – La sua carriera, le scelte, l’arte: molti gli aspetti toccati da François Cluzet nell’incontro con la stampa all’interno di France Odeon, il festival di anteprime francesi diretto da Francesco Ranieri Martinotti. Un bel momento all’interno della rassegna, svoltosi nella cornice dell’hotel Westin Excelsior qui a Firenze partendo proprio dall’ultima pellicola girata dall’attore, Un métier sérieux, ma non solo. Un incontro decisamente emozionante, in un’atmosfera sobria e piacevole che Cluzet – classe 1955, nato e cresciuto a Parigi e un debutto grazie a Claude Chabrol e a I fantasmi del cappellaio – ha creato rispondendo alle domande con intelligenza e ironia, mai cedendo all’aneddoto o alla battuta scontata, anzi.
IL CINEMA – «Lo scopo del cinema è il divertimento: non siamo a scuola, si esce, si paga un biglietto e desideriamo divertirci. Oppure emozionarci. Il film può affrontare temi complessi, formativi, o più leggeri e spensierati, o – ancora – può affrontare entrambi i tipi di temi. Il vostro Roberto Benigni con La vita è bella è riuscito a farlo benissimo, per esempio. Ma, fondamentalmente, ogni film è un’operazione commerciale che viene realizzata per divertire e emozionare il pubblico, non va dimenticato. Anche il mio film più celebre, Quasi amici, racconta un problema molto grave e il pubblico ne viene a conoscenza proprio mentre prova forti emozioni davanti alle immagini…».
QUASI AMICI – «Quando hanno portato sul set di Quasi amici la carrozzina su cui avrei dovuto sedere, ho chiesto di lasciarmi solo e ho iniziato a fare il mio lavoro. Ho immaginato di aver fatto un incidente in moto per una mia sciocchezza e mi sono seduto lì. In quel momento per me è iniziato il film, che ho poi condiviso con Omar Sy, offrendogli tutto lo spazio possibile, perché al punto della mia carriera in cui ero mi sembrava giusto essere generoso con un altro attore. A che punto era la sua carriera? Beh, diciamo che ho avuto successo tardi, molto lentamente e questo mi ha permesso di rimanere lucido, di non cedere alle illusioni e alle sirene del successo…».
LE SCELTE – «Tra l’essere un attore artista oppure un attore puro, ho scelto tempo fa la prima possibilità grazie ad altri attori, anche se la mia infanzia difficile mi portava ad altro. Ho scelto l’arte e un altro tipo di sensibilità e Un métier sérieux l’ho scelto anche per questo, per il regista Thomas Lilti, regista con stile, umanità, in una parola: un artista. Lavorare con registi del genere è un piacere ed è ciò che cerco come attore, un mestiere che mi sono inventato da piccolo, quando di fronte ai clienti dell’edicola di mio padre cambiavo sempre ruolo: a volte ero zoppo, a volte gobbo. Ero già un mitomane e alla fine ho sfruttato questa eredità familiare per il mio mestiere…».
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