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Frances McDormand: «Nomadland, Chloé Zhao e l’altra faccia della mia America»

Il libro, il set, la regista: l’attrice racconta Nomadland, per cui ha vinto il terzo Oscar da attrice

Frances McDormand e la vita in strada in una scena di Nomadland.

ROMA – Alla scorsa Mostra di Venezia era improvvisamente apparsa sullo schermo in camicia a pois, orecchini rossi e un mazzo di girasoli sullo sfondo, a colorare la sua inquadratura via Zoom, Frances McDormand, ovvero la protagonista assoluta di Nomadland di Chloé Zhao – dal 28 giugno su CHILI – nonché protagonista della Notte degli Oscar, a tre anni dall’exploit di Tre manifesti a Ebbing, Missouri. Nel film, vediamo l’attrice – sei nomination e tre Oscar già vinti in carriera, più quello da produttrice proprio per Nomadland – interpretare il ruolo di Fern, una donna che dopo la perdita del lavoro e del marito decide di mettersi alla guida di un furgone per vivere una vita da moderna nomade nelle terre dell’Ovest americano. Ecco come la McDormand descrive l’esperienza vissuta nel film, destinato a diventare un cult.

Nomadland
Frances McDormand sul set durante le riprese. Davanti a lei, la regista Chloé Zhao.

L’INIZIO DEL VIAGGIO – «Da dove comincia Nomadland? Da un libro firmato da Jessica Bruder, Nomadland – Un racconto d’inchiesta (in Italia edito da Edizioni Clichy, qui) che nelle sue pagine aveva l’impronta dell’indagine giornalistica. Ho incontrato la scrittrice tre anni fa al Sundance, l’ho adorata e ho voluto saperne di più sul progetto. Da lì è nato Nomadland, una pellicola girata in modo leggero: sul set eravamo solo venticinque persone. Abbiamo viaggiato per cinque mesi attraverso sette Stati americani e siamo diventati quasi un bio organismo. A un certo punto eravamo tutti collegati. Siamo anche riusciti a muoverci rapidamente, in modo improvviso se necessario…».

Frances McDormand in Nomadland
Frances McDormand in Nomadland

IO & CHLOÉ – «Ho lavorato con tanti altri registi a cui piace lavorare con attori non professionisti ma nessuno è come Chloé: il suo metodo è unico, più sintetizzato. Si trattava di rispettare il processo di vita di questa gente piuttosto che fare un film, eravamo presenze nella vita degli altri. Quello che mi ha colpito è la sua grande umiltà. Chloé ed io siamo state molto tempo insieme, ora ci conosciamo bene e sappiamo come lavoriamo e cosa vogliamo fare. Sul set ho imparato a stare ferma, ad ascoltare, a non parlare. Imparare fa parte della vita di un attore. In questo caso il mio compito era ascoltare le loro storie di questa comunità…».

I colori di Nomadland
I colori di Nomadland

IL MONDO – «C’è un’enorme disparità tra chi ha e chi non ha. La scelta dei nomadi di vivere in movimento ha a che fare anche con queste disparità. Nomadland però non è una dichiarazione politica, abbiamo piuttosto cercato di capire una comunità che ha fatto delle scelte difficili e il motivo per cui le ha fatte. Ora ci sono tante persone che vivono per strada sia per la situazione economica che per essere stati chiusi in casa durante il lockdown. C’è qualcosa dello spirito umano delegato al movimento. Muoversi fa parte dell’evoluzione. Quello che trovo interessante è che abbiamo trovato diversi strati di mobilità, tra chi vive nei camper o negli autobus. Si incrociano sulla strada ma non vivono in comunità…».

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