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Mia Cioffi Henry | New York, la fotografia del cinema e l’arte della luce

Gordon Parks, gli Oscar e il ruolo della donna: da Roma a NYC, l’intervista alla direttrice della fotografia

Mia Cioffi Henry, protagonista della nostra intervista
Mia Cioffi Henry, protagonista della nostra intervista

ROMA – Mentre chiacchieriamo con lei sentiamo in sottofondo la soundtrack di una New York City che, piano piano, sta tornando a vivere. I clacson impazziti, le sirene della NYPD, il vociare inconfondibile e indistinguibile. La luce le entra dalla finestra, quella cristallina luce di mezza mattinata che pervade l’isola di Manhattan. Da lei sono le 11.30 am, da noi, qui a Roma, l’orologio segna le 17.30 di un freddo pomeriggio d’aprile. In mezzo ai fusi orari, tra sorrisi e parole il cinema, il ruolo della donna, le ispirazioni e gli amici candidati agli Oscar. Ed è stata una bella intervista quella con Mia Cioffi Henry. Lei, direttrice della fotografia che lavora tra l’Italia e soprattutto (anzi, quasi esclusivamente) con gli USA, ha un Master of Fine Artis in cinematografia ricevuto alla prestigiosa New York University ed ha presentato (con tanto di premi) i suoi lavori in giro per il mondo. Dalla Berlinale al Sundance, dall’SXSW al NYFF. «Il set? È un luogo complicato ma bellissimo», dice Mia, «E sul set trasporto tutta l’ispirazione che colgo in giro per il mondo, cercando di mettere in scena ombre e luci».

Dall’Italia agli USA. La tua storia?

«Ho finito la scuola a New York, la NYU, ho studiato cinema, mio marito è francese ma vive in Italia, adesso siamo qui a New York. Abbiamo un cane, due figli… ma per me è difficile lavorare in Italia. Anche se adesso le cose sono diverse, c’è una differenza nell’industria cinematografica, ci sono più donne che lavorano dietro la camera. C’è un cambio, ma il mio lavoro è negli USA, sicuramente a New York».

Mia Cioffi Henry e la sua camera
Mia Cioffi Henry e la sua camera

Vivi a New York, una città che ha la luce nel cuore. Immagino ti arrivi una forte ispirazione.

«La prima volta che sono venuto a New York ero molto ispirata dalla luce, dalle strutture degli edifici, dalle ombre. Ma quando vivi qui da molto tempo poi tendi a dimenticare questi aspetti perché diventano elementi quotidiani. Così amo viaggiare e andare in altri posti lontano da New York per tornare a guardare la città con occhi più freschi. Non voglio essere annoiata da quello che vedo, ma lo stesso tempo conosco molto bene New York City, sono qui da molto tempo e posso mostrarne la bellezza anche negli aspetti più grigi. Oggi è difficile mostrarla ancora per un regista perché in ogni angolo stanno girando un film o una serie TV. Recentemente ho visto Sound of Metal, e mi è sembrato il primo film da tanto tempo che riuscisse a far “sentire” così tanto le immagini. È un film molto intimo e personale. Adoro i film che sposano il concetto di suono con le immagini. In generale sono ispirata da Douglas Sirk, ha portato a Hollywood il suo bagaglio espressionista. E poi dal cinema di Fassbinder e dalle fotografia di Gordon Parks».

Mia, parlando di cinema italiano. Come viene visto dagli USA?

«Il cinema italiano ha una storia ricca. Ha le sue radici nella cultura e nell’arte dell’Italia. So che ogni volta che vedrò un film italiano mi emozionerò e avrà una storia forte. Sono molto attratta da questo. L’Italia è così bella e da così tanta ispirazione, dalla luce ai paesaggi. C’è rispetto per lo stile e il rispetto per le cose semplici. Quando sono in Italia mi sento ispirata, ma anche quando sono all’estero e guardo film italiani. Penso al neorealismo italiano. L’ultimo film a cui ho lavorato, Superior, è influenzato da Deserto Rosso da L’Avventura di Antonioni e da tutti questi film che hanno una forte componente stilistica nello storytelling. Potresti non sapere esattamente quello che sta accadendo attraverso le inquadrature ma riesci a percepirlo».

Mia Cioffi Henry sul set di Superior
Mia Cioffi Henry sul set di Superior

Mia, come procede la strada che porta ad un’uguaglianza di generi nel cinema?

«Fin ora non credo di aver avuto lo stesso numero di opportunità dei miei colleghi maschi. Però sono anche molto sicura dei film che ho girato. Mi circondo di persone che credono in me, convinti che io possa portare qualcosa in più nei progetti. Lavoro principalmente con donne e con persone di colore, affrontando storie con le quali sento di avere una connessione. Sento di avere una maggiore difficoltà nel settore delle pubblicità o in progetti ad alto budget. Ma sento anche che il tipo di storie che mi interessa raccontare stanno ottenendo interesse e spazio per essere narrate.  Essere direttrice della fotografia significa essere a capo di tre reparti e del programma giornaliero.  Devi lavorare duramente, così da essere in grado di mostrare che sei in grado di fare quel lavoro. Se non dimostri quanto vali è difficile fare il salto di livello».

Ecco, come approcci il lavoro sul set?

«Cerco di portare la curiosità del mio lavoro, che si tratti di progetti o del mio processo creativo. Il mio lavoro ha che fare con la ricerca, che passa per la bellezza delle immagini. Anche per questo sono stata scelta da Canada Goose. Mi hanno voluta per rappresentare le loro nuove giacche (la Cinematographer Jacket, ndr). Ne sono molto orgogliosa. Erano molto interessati alla figura del direttore della fotografia perché è un ruolo che è poco conosciuto al di fuori del settore. Molti non sanno in cosa consista e l’importanza che ha in un set… Sono molto felice di aver di aver legato il mio nome a loro, perché nel corso degli anni hanno supportato molti registi in festival come il Sundance o il Toronto».

Mia Cioffi Henry e la Cinematographer Jacket
Mia Cioffi Henry e la Cinematographer Jacket

A cosa stai lavorando?

«Ho due progetti in cantiere, due film. Uno girato in Wisconsin, filippino, ovvero una storia di una donna e sua figlia. L’altro è una dramma di guerra. Sono anche produttrice».

Per finire: gli Oscar? I tuoi favoriti?

«Quest’anno ho degli amici che hanno fatto con me la NYU. Chloé Zhao, Shaka King e Joshua James Richards, il direttore della fotografia di Nomadland, un film importante, dalle tematiche potenti. Sono contenta, perché i loro film sono estremamente validi e le loro candidature segnano un cambio. Ma anche Sound of Metal è un film incredibilmente notevole. Sono storie che raccontano vicende di persone vere. Insomma, per dire… Mi piace Martin Scorsese, ma oggi bisogna allargare lo spettro delle persone davanti la camera».

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