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Empire of Light | Sam Mendes, Olivia Colman, l’amore e il potere infinito del cinema

Criticato, snobbato eppure il film, ispirato all’infanzia del regista, è una lettera da custodire

Empire Of Light
Sam Mendes sul set con Olivia Colman.

ROMA – Siamo nel 1980 e Hilary Small lavora come direttrice di sala all’Empire Cinema di Margate, il principale cinema della costa del Sud dell’Inghilterra. Hilary (Olivia Colman) vive da sola, ha una routine ben definita, soffre di depressione – le è stato prescritto del litio dal suo medico – e ha una relazione extraconiugale con il suo capo, Donald Ellis (Colin Firth). Un nuovo dipendente, Stephen (Michael Ward), inglese di colore che vive con la madre Delia, inizia un giorno a lavorare al cinema. Tra lui e Hilary scocca la scintilla: la loro vita cambierà per sempre. A quattro anni dal bellico e potente 1917, Sam Mendes ritorna con Empire of Light, un’opera dal taglio intimista, dal cuore delicato di puro cinema, per certi versi anche un ritorno alle origini teatrali anni Novanta, un film sicuramente sottovalutato e fin troppo stroncato.

Empire of Light di Sam Mendes, nei cinema italiani dal 2 marzo
Un dettaglio della fotografia di Roger Deakins per Empire of Light.

L’Empire al centro del racconto di Empire of Light è il corrispettivo del mondo extraschermo del Dreamland di Margate. Uno dei grandi cinema inglesi che aprì i battenti nel lontano 1923 per sopravvivere, di gestione in gestione, sino al 2007. Pur abbandonato, il Dreamland è ancora lì, in piedi, sul lungomare di Margate, perché ritenuto edificio di interesse storico e proprio per questo impossibile da buttare giù se non tramite un’autorizzazione parlamentare. Proprio da qui Mendes è partito per far rivivere un ricordo del suo passato e far emergere un tempo perduto: «L’Empire è costruito su un cinema che io stesso ricordo abbastanza chiaramente. Ci sono andato molte volte, a Brighton. Adesso è stato trasformato in un casinò. Non volevo che fosse bizzarro, non volevo che sembrasse tipicamente inglese con un sacco di ferro battuto e architettura post-coloniale».

Olivia Colman è Hilary Small in una scena di Empire of Light
Olivia Colman è Hilary Small

Ma non solo, perché nella caratterizzazione problematica di Hilary – resa scenicamente da una Colman straordinaria, mutevole, esplosiva e colorata, ennesima prova di talento – c’è il vissuto di Mendes, la sua infanzia e nello specifico quella di sua madre, la scrittrice e poetessa Valerie Barnett con cui è cresciuto dopo il divorzio dei genitori quando aveva tre anni: «Come padre rifletti sempre su come sei stato da genitore. Sempre più spesso, le lotte di mia madre con la malattia mentale e il suo crescere come figlio unico, sembravano eroiche. Volevo scriverne ora che è trascorso tanto tempo». E per chi se lo stesse chiedendo, la madre di Mendes è viva e ha già visto Empire of Light: «Sì e le è piaciuto, non sapeva nulla del film, da dove fosse nato lo script. Volevo solo che entrasse in sala senza nessuna idea. È stato un grande momento, è stato commovente…».

Michael Ward nel ruolo di Stephen

E lo è, davvero, commovente, Empire of Light, ma è anche un ritorno ad un cinema semplice e minimalista, senza troppe pretese – un po’ sulla scia di Revolutionary Road – intimo, fatto di amore e poesia e film e ne cita tanti Mendes tra dialoghi e citazioni per immagine: Cleo dalle 5 alle 7, Il bandito e la madama, The Blues Brothers, Momenti di gloria, Non guardarmi: non ti sento, Oltre il giardino. Un’ode alla vita meta-cinematografica, amorevolmente fotografata da un Roger Deakins, a 73 anni ispirato come non mai nel costruire immagini di luce intensa e tenue che riempiono e avvolgono la scena. Una lettera d’amore che Mendes usa per raccontare di Hilary e Stephen (un sorprendente Ward), un uomo e una donna, che rinascono, si riscoprono, accettano la solitudine e i silenzi ma combattono anche le ingiustizie del mondo.

Toby Jones e Olivia Colman, i "talenti" di Empire of Light
Toby Jones e Olivia Colman, due dei molti assi nella manica di Empire of Light

Perché il contesto di Empire of Light è l’Inghilterra operaia dei working-class-hero di cui cantava John Lennon nel 1970. Quindici anni anni dopo, la classe operaia sarebbe stata molto meno eroica, piuttosto arrabbiata e delusa dal pugno di ferro del Governo Thatcher e difficilmente quel mondo avrebbe potuto accettare di buon grado un’unione mista tra un uomo e una donna con più di vent’anni di differenza. Come ci viene ricordato però dal personaggio di Norman di un grande, intenso e misurato Toby Jones – proiezionista romantico che con una simile caratterizzazione meriterebbe un film tutto suo – la cosa fondamentale è sempre la stessa: «Senza luce non succede niente». Ecco, Hilary e Stephen diventano, l’un l’altro, la rispettiva luce che permette loro di fare le scelte giuste con cui crescere e migliorarsi, e a noi spettatori di godere della loro bella unione. Non è cosa da poco in tempi avari come questi.

  • INTERVISTE | Sam Mendes racconta il set di 1917
  • STORIE | Era Mio Padre, Mendes, Hanks e la storia dietro al film
  • VIDEO | Qui sotto potete vedere il trailer del film: 

 

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