in

Doctor Sleep | Il sequel di Shining è molto meglio di quanto pensiate

Mike Flanagan è riuscito a rimanere fedele sia a Stanley Kubrick sia a Stephen King. E non era facile…

Ewan McGregor in un dettaglio del poster di Doctor Sleep

ROMA – Fa un certo effetto ascoltare, di botto, l’emblematica Dies Irae, all’inizio del film. È come se ci facesse ricordare che sì, siamo davvero difronte al sequel ufficiale del più grande film di paura (e di molto altro, a dire il vero) di tutti i tempi. Ed è chiaro – nemmeno a pensarlo – che Mike Flanagan (chissà cosa gli è passato per la testa, quando nel 2017 la Warner gli ha offerto il film) non è Stanley Kubrick. Nè ambisce ad esserlo. Perché è semplicemente impossibile essere Kubrick. Flanagan lo sa, sa benissimo che il rischio, in un’operazione del genere, è enorme. Eppure, a modo suo, questo Doctor Sleep, riesce a farlo funzionare.

Danny e quella scritta

Sarà la luccicanza, sarà quel vento che fischia nelle orecchie di Danny Torrance, sarà la presenza onnisciente dell’Overlook Hotel. Talmente ingombrante da essere un’entità a parte, quasi protagonista. Sarà che è stato in grado, senza mettersi in mezzo in una disputa che dura quarant’anni, di rimanere fedele sia a Kubrick sia a Stephen King. E non era facile. Così, il film prende due strade: da una parte l’evoluzione narrativa di Dan (Ewan McGregor, sempre bravo), dall’altra una storia più pop, dove incrociamo una carovana di vagabondi, comandati da Rose (Rebecca Ferguson), che da secoli si nutre proprio della luccicanza. Che sia quella di Dan o quella della piccola Abra (Kyliegh Curran).

Ewan McGregor, la giovane Kyliegh Curran e il regista Mike Flanagan

Così, entrambi i fili della storia, vanno a legarsi verso una sequenza che, da sola, vale l’attesa (e sarà una sorpresa, sia per chi ha letto il libro sia per chi è ossessionato dal capolavoro di Kubrick). Del resto, l’emozione cinematografica di ritrovare Danny è indubbiamente fortissima. Tanto da far passare in secondo piano il resto. È come se, verso di lui, nutrissimo una sorta di affetto. Quasi a volerlo proteggere da un mondo – ci diceva il film del 1980 e ora Doctor Sleep – carico di malvagità, in cui i buoni – o meglio, quelli che brillano – sono costretti a nascondersi da un’ombra che vuole ingoiarli.

Danny e Dick (Carl Lumbly). Sì, quel Dick

Sappiamo cosa ha passato, ci ricordiamo perfettamente il suono del triciclo su quella moquette dai disegni esagonali ed ossessivi, tra i corridoi infiniti del set cinematografico più enigmatico (ed affascinante) della storia. E comprendiamo gli incubi di Danny, diventati adulti insieme a lui. Affogati in un bicchiere di bourbon, lo stesso che beveva suo papà Jack. In fondo, nel film di Flanagan, a cominciare dall’atmosfera, nulla è puramente casuale. Ogni tassello rimanda al passato, in un crescendo di citazioni visive, sceniche e metaforiche che riusciamo ad accettare senza forzature. Capaci, alla fine del viaggio, di amalgamarsi in qualcosa di (nettamente) più grande e più spaventoso: Shining.

Qui la nostra intervista al regista Mike Flanagan e al produttore Trevor Macy:

Lascia un Commento

Tra moda, cinema e letteratura | Dree Hemingway e quel cognome da predestinata

Il cielo sopra Berlino

Il Cielo Sopra Berlino | Cosa succede se il cult di Wim Wenders ritorna al cinema