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La modernità di Bob Marley quarant’anni dopo? Passa (anche) attraverso un documentario

Quarant’anni dopo cosa rimane? Molto. Perché riscoprire il documentario di Kevin Macdonald

Bob Marley: nato nel 1945, è morto l'11 maggio 1981.

MILANO – E adesso però, al di là dell’anniversario e degli hashtag tanto veloci da scrivere quanto da dimenticare, se davvero volete celebrarlo, andate indietro e cercate di capirne (e carpirne) la storia, perché oltre il suono e il sogno, finito l’11 maggio del 1981, la vita di Bob Marley rimane un viaggio moderno ed esemplare, la storia di un uomo che seppe scrivere la propria vita e spostare confini e limiti, ma che spesso, ancora oggi, è associato banalmente a ganja e marijuana, canne da fumare al parco e cannabis da mescolare al rastafarianesimo. Ecco: il torto più grande che si possa fare oggi a Marley è questo e, per questo, è importante tornare al documentario che Kevin Macdonald, regista che vinse l’Oscar con Un giorno a settembre sulle Olimpiadi del 1972, girò nel 2012.

Bob Marley
Una scena di Marley, il documentario di Kevin Macdonald.

Ritornare lì, alle origini, dentro le immagini di Marley – lo trovate in streaming su CHILI qui – è utile, anche se non è l’unico documentario da riscoprire in streaming, c’è anche Who Shot The Sheriff su Netflix – ma il lavoro fatto da Macdonald va oltre le leggende da manuale del rock e cerca di capire chi era davvero Robert Nesta Marley, cosa lo muoveva, cosa lo spinse tanto oltre, perché non si accontentò dello status di rockstar (e fu lui la prima rockstar del cosiddetto Terzo Mondo, poi sarebbero venute Rihanna e Shakira…). E poi ancora: perché si mise in prima linea, al punto da prendersi una pallottola? 144 minuti tra ricordi e testimonianze, con l’aneddotica limitata al necessario e la figura che emerge immagine dopo immagine, intervista dopo intervista.

Ancora Marley in una foto di repertorio.

Oltre la retorica del ritornello reggae e dei dreadlocks, Macdonald ci fa conoscere Marley, la sua visione, la sua mistica, la poetica, il carisma impressionante (per non parlare del suono, ancora moderno quattro decenni dopo) fino a quella fine da thriller che viene poco raccontata e che forse – anzi, sicuramente – non meritava: lui, figlio della Giamaica, chiuso in una clinica olistica a Rottach-Egern, in Baviera, nella speranza che qualcosa cambiasse e che il destino non avesse già deciso per lui. «But my hand was made strong by the hand of the Almighty». Non fu così e l’11 maggio 1981 Marley morì. Aveva solo 36 anni, eppure gli erano bastati per riuscire a cambiare tutto.

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Qui il trailer di Marley:

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