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America Latina, o del perché il film dei Fratelli D’Innocenzo è imperdibile

Il film è cupo ed estremo, ma anche visionario e fiabesco. Protagonista? Un grande Elio Germano

Un dettaglio del bel poster di America Latina
Un dettaglio del bel poster di America Latina

ROMA – C’è un momento ben preciso in cui America Latina – terzo film scritto e diretto da Fabio e Damiano D’Innocenzo – prende pieno possesso dello schermo, destrutturano l’immaginario ideale e idealizzato per diventare immediatamente l’affresco infernale di un uomo diametralmente opposto a se stesso, e dunque spaccato in due, dilaniato dai molteplici piani emotivi. Quando arriva questa consapevolezza? Subito, dal primo frame. La pellicola infatti ci porta in un piano universale dove l’estetica incontra il racconto, sprofondando volutamente sotto il livello del mare, tanto che spesso la camera dei registi riprende la scena dal basso, per poi fargli prendere angolature ristrette, quasi asfissianti. In fondo siamo in una Latina che pare l’Arkansas (appunto), crogiolo popolare in cui il cemento si perde tra prati brulli e fabbriche dismesse, tra le strade provinciali e l’orizzonte interrotto dalle casupole isolate nel quale la vita scorre (quasi) senza essere percepita.

Elio Germano è Massimo in America Latina
Elio Germano è Massimo in America Latina

Tra quelle villette c’è anche quella di Massimo (Elio Germano), dentista pacato con il vizietto appena accennato dell’alcol e che, più o meno di nascosto, ama intrattenersi per delle lunghe chiacchierate con l’amico Simone (Maurizio Lastrico). A casa lo aspettano i suoi cani, una piscina da ripulire in vista dell’estate e soprattutto le sue tre ragioni di vita: la moglie Alessandra (Astrid Casali) e le sue due figlie (Carlotta Gamba e Federica Pala). Quella casa, che i D’Innocenzo immaginano per America Latina come fosse una sorta di non-luogo sospeso nello spazio e nel tempo, facendone una sorta di protagonista onniscente, nasconde però un inaspettato segreto. Un segreto custodito nel luogo più recondito e profondo, ossia la cantina. Il posto ideale in cui nascondere e nascondersi. Li giù, scopre Massimo, è celata una presenza che, vedrete, cambierà di netto la prospettiva di un film tanto lineare quanto marcatamente stratificato.

Carlotta Gamba, Federica Pala, Astrid Casoli ed Elio Germano
Carlotta Gamba, Federica Pala, Astrid Casali ed Elio Germano

In questo senso, la scrittura e la ricercata regia di Damiano e Fabio D’Innocenzo dimostrano quanto siano estrosi e intelligenti tanto nello scrivere tanto nell’immaginare visivamente una vicenda che, scena dopo scena, resta addosso, appiccicata ad un’opinione sdoppiata come nel film è doppio Elio Germano, testa rasata e sguardo indecifrabile. C’è l’apparenza di una vita normale, e sotto c’è il mistero che intreccia figure e sensazioni che mettono insieme violenza, amore, sbagli, follia, coscienza. Un’unione che drammaturgicamente parlando è, quindi, esplosiva pur mantenendo una sfocatura tranquilla ma efficace, giocata dai registi mostrandoci la figura di Massimo continuamente riflessa. Che sia uno specchio, un vetro, un pianoforte appena lucidato. Se l’elemento del doppio e dei suoi riflessi è preponderante, in America Latina un altro tassello determinate è l’acqua, che va a rappresentare la purezza e l’oscurità che pervadono i novanta minuti dell’opera, che sottolinea – qualora ce ne fosse bisogno – l’oggettiva capacità dei due Fratelli nell’essere narratori originali eppure influenzati da un cinema iconico ed essenziale.

I riflessi di America Latina
I riflessi di America Latina

Perché, vendendo America Latina (dimenticavamo, è stato presentato in Concorso a Venezia 78), lo spettatore viene letteralmente inondato da simbolismi e da richiami acuti, che giocano con il raziocinio melanconico di Edward Hopper e con gli scritti di Raymond Carver, finendo per sfiorare Il Giardino delle Vergini Suicide (in particolar modo per i costumi firmati da Massimo Cantini Parrini) e, pensate un po’, il Nosferatu di Murnau o il Dracula di Francis Ford Coppola. Indirettamente, c’è una potente melting pot di generi, che spaziano dal thriller all’horror, arricchendo il film di commistioni rielaborate che, sempre e comunque, mettono al centro la figura totalizzante di Massimo / Elio Germano, al contempo principio e fine dell’intero film, e che si ritrova ad affrontare la sua vera natura e la sua vera identità, in bilico tra due mondi che non potranno mai incontrarsi. Questo, naturalmente, finisce per generare domande su domande, senza però possedere necessariamente delle risposte definitive. Insomma, non è bellissimo e spaventoso tutto ciò? Eccome. Eccome se lo è.

Qui l’intervista a Fabio e Damiano D’Innocenzo:

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