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Harley Quinn, Wonder Woman, Mulan? No, la vera eroina è Adèle Haenel

Le parole, l’abbandono dei Césars, la questione Polanski. Ritratto di una giovane in fiamme

Adèle Haenel
Adèle Haenel: classe 1989 è nata a Parigi, ma cresciuta a Montreuil.

MILANO – Alzarsi e andarsene. Scegliere di non esserci. Decidere di non prendere parte. L’uscita dalla sala dei Césars di Adèle Haenel non è stata solo un semplice atto di protesta e non riguarda solo il caso Polanski, ma è qualcosa di più complesso, qualcosa di più forte. Il rumore di un sistema che si incrina, un rumore che tutti fingono di non sentire. In mezzo alla scenografia, quasi fosse una pièce, ecco però Adèle che si alza e sceglie di non esserci. «Adèle, dipendente recidiva, che non si sforza di sorridere quando viene avvilita in pubblico, che non si sforza di applaudire lo spettacolo della sua stessa umiliazione», scrive Virginie Despentes in un editoriale feroce, bellissimo, su Libération. «Adèle si alza e se ne va. Adèle applaude e scende le scale. L’ottanta per cento della mia biblioteca femminista non vale questa immagine».

L’uscita di scena di Adèle Haenel

Qualcuno a questo punto bofonchierà che è la solita retorica femminista. E invece no. Perché no? Perché nell’epoca del post #MeToo, viviamo in una società ossessionata dal politically correct, che elogia e celebra le nuove eroine femminili (da Harley Quinn a Mulan), offre budget miliardari e blockbuster a registe donne (vedi Cathy Yan per Birds of Prey, Niki Caro per Mulan), ci rassicura sul fatto che l’orco Weinstein sia stato fatto fuori dal gioco, così che possiamo dormire sonni tranquilli. Perché? Perché la società – e anche il cinema, che ne è un riflesso – è ora un posto più equo e possiamo stare sereni, che il futuro sarà rosa, che le bambine di oggi, le nostre figlie, domani non dovranno sopportare diseguaglianze e il maschilismo tossico di un’epoca buia ormai dimenticata.

Natalie Portman sul red carpet dell’ultima edizione degli Oscar.

Poi però arrivano le nomination agli Oscar e, improvvisamente, si ripropone il problema. Dove sono Alma Ha’rel, Greta Gerwig, Lorene Scafaria, Lulu Wang, Marielle Heller, Mati Diop? Perché non ci sono donne nella cinquina dei registi? E perché i loro nomi sono solo sull’abito di Natalie Portman che – tra l’altro – viene anche contestata (da un’altra donna, Rose McGowan) per aver fatto ricamare i loro nomi sul vestito? Perché, come scrive la Despentes, «è chiaro che i grandi premi continuano a essere esclusivamente il dominio degli uomini, perché il messaggio di fondo è: niente deve cambiare. Le cose vanno bene così come sono». Come dire: sappiamo che ci siete, vi facciamo anche girare film, ma non esageriamo. E poi? E poi arriva Adèle Haenel.

Adèle che apparentemente non fa molto, anzi, fa una cosa molto semplice: si alza e se ne va. Lascia la sala. Decide che è ora di smettere di fingere. «E quella probabilmente è un’immagine che annuncia i giorni a venire», conclude la Despentes nel suo editoriale. «Perché la differenza non sta tra gli uomini e le donne, ma tra i dominati e i dominanti, tra chi vuole requisire la narrazione e imporre le sue decisioni e chi si alzerà e se ne andrà urlando la sua rabbia». E qui non si parla solo di Polanski: Adèle Haenel lo scorso novembre ha denunciato in un’intervista il regista Christophe Ruggia, ricordando come, durante le riprese di Devils, nel 2002, quando lei aveva dodici anni, era stata molestata ripetutatamente dall’uomo. «Perché non ho denunciato?», ha spiegato l’attrice, «non ho mai pensato alla giustizia perché esiste una violenza sistemica contro le donne nel sistema giudiziario».

Adèle Haenel
Adèle Haenel subito dopo l’uscita dalla sala dei Césars.

Adèle Haenel ha avuto il coraggio di andarsene, dire che tutto questo oggi non è più accettabile, che le farse vanno riconosciute come tali e qualcuno avrebbe dovuto anche ricordarlo dal palco degli Oscar, ma la tendenza del #MeToo era già vecchia, non funzionava più mediaticamente, allora meglio l’ecologia, meglio pensare green. Ma non è Polanski, non è Ruggia quello che denuncia Adèle, ma un modo di essere, una complicità, un silenzio ipocrita. Un silenzio più facile da perseguire e con cui convivere, perché il mondo gira comunque da quella parte ed è raccontato quasi sempre al maschile. Anche nell’informazione. Ricordate cosa disse Tarantino quando fu scoperchiato il caso Weinstein, il suo compare e storico produttore? «I knew enough to do more than I did». Ovvero: sapeva abbastanza ma fece troppo poco. Di Adèle non si potrà dire lo stesso. «Non abbiamo nessun rispetto per la vostra farsa di rispettabilità. Noi ci alziamo e ce ne andiamo. È finita. Ci alziamo. Ce ne andiamo».

  • Qui un resoconto de Le Parisien sulla serata dei Césars:

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