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Chiara Battistini: «Io, il viaggio con Marracash e l’estetica di È Finita La Pace…»

I visual, la collaborazione con il rapper, i film del cuore: intervista alla regista e producer

Chiara Battistini
Chiara Battistini riflette sul significato di È finita la pace di Marracash...

MILANO – Un album non è più solo un album, ma una creazione che muta forma e faccia. Così, dopo l’uscita in digitale a dicembre e la pubblicazione in formato fisico a gennaio, È finita la pace, il nuovo disco di Marracash, è arrivato anche su YouTube con un visual album diretto da Chiara Battistini e Giulio Rosati, sotto la direzione creativa della stessa Battistini. Ma cos’è? Un’esperienza che coinvolge occhi, orecchie e testa, un viaggio parallelo che mescola cinema, videoarte e suono, cercando di andare ancora più in profondità. Ce lo siamo fatti raccontare in quest’intervista dalla stessa Battistini, producer, direttore creativo e regista a fianco di Marracash da qualche anno.

Un dettaglio del visual di Soli, canzone di Marracash.

IO E MARRACASH – «La mia collaborazione con Marracash inizia un paio di anni fa, abbiamo una lunga storia di amicizia che ci lega dalla metà degli anni ’90, ai tempi del muretto di Milano. Ci siamo ritrovati da adulti con visioni affini rispetto a cinema, serie e creatività. Questo ci ha permesso di confrontarci sull’idea del visual album e di trovare in brevissimo tempo un intento comune, volevamo che fosse un concept visual album. Piace ad entrambi sperimentare e con questo progetto, ci siamo spinti un po’ oltre il classico linguaggio del videoclip. Mi ha dato molta fiducia, lavorare con lui per un autore è incredibilmente stimolante. Le sue indicazioni? Direi che il disco è stata l’indicazione di partenza, i brani, il loro significato. Il resto è frutto di un brainstorming incessante tra me e Marra».

Marracash
Marracash e la sua bolla che filtra il mondo…

I RIFERIMENTI – «Le mie ispirazioni principali sono arrivate da due film che lavorano proprio sulla dimensione di controllo e osservazione: Minority Report e The Truman Show. Per i singoli visual, invece, in collaborazione con Marracash abbiamo cercato di dare a ogni brano una sua identità visiva precisa, pur mantenendo una coerenza di fondo, come il bianco e nero e la scelta di utilizzare solo immagini di archivio. Mi sono ispirata a opere come Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, che ha una forza ipnotica nel raccontare il rapporto uomo-società, e al classico Metropolis di Fritz Lang, con le sue visioni distopiche e architettoniche».

Finzione o realtà? Jim Carrey in una scena di The Truman Show.

L’ESTETICA – «Sicuramente oggi l’aspetto visivo di una canzone fa parte di un progetto ampio, al servizio della creazione dell’immaginario dell’artista. Quello che aggiunge la componente estetica alla vita di un album ha la funzione di amplificatore: credo che nel rap e nell’hip hop oggi più che mai ci sia la necessità di creare delle identità visibilmente forti e diversificate dato che l’offerta è molto ampia e il rischio di omologazione incombe…».

Un altro dettaglio di uno dei visual del disco.

I FILM DEL CUORE – «Ne cito tre film, ma la scelta non è facile: Blade Runner. Molto attuale la domanda che pone ai tempi dell’AI: cosa significa essere umani? Ridley Scott presenta i replicanti come esseri capaci di emozioni, desideri e consapevolezza della propria mortalità, sfidando la distinzione tra uomo e macchina. Mi ha sempre affascinato sia per le atmosfere sia perché offre una riflessione sulla condizione umana, sulla memoria, sull’identità e sulla morte. Cosa significa essere vivi? Poi dico Blow-Up di Antonioni, che esplora in modo sottile e filosofico il tema dell’incertezza della realtà e della percezione. Il protagonista, un fotografo, crede di aver scoperto un omicidio attraverso l’analisi ingrandita di una fotografia, ma più si avvicina alla verità, più gli sfugge.

Blow Up
David Hemmings in una scena di Blow Up.

Antonioni mette in scena la fragilità della conoscenza e la tensione tra apparenza e verità, lasciandoti con la sensazione che la realtà, in fondo, sia un enigma mai del tutto risolvibile. Il terzo è Il cielo sopra Berlino, uno dei miei film preferiti in assoluto, Wim Wenders trasforma la filosofia in poesia visiva. Esplora il desiderio umano di sentire, amare e vivere pienamente, anche a costo del dolore. Gli angeli osservano il mondo in bianco e nero, testimoni silenziosi dell’umanità, ma incapaci di parteciparvi. Un po’ come Marra nella bolla…».

  • VIDEO | Qui uno dei visual di È Finita La Pace:

 

 

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