MILANO – Quando si tratta di distopia, il Giappone non va di certo per il sottile. Soprattutto se stiamo parlando di un survival game mortale. Alice in Borderland, la serie live action targata Netflix ispirata al manga omonimo di Haro Aso del 2015 e con Kento Yamazaki e Tao Tsuchiya, è proprio questo. Un appassionato di videogiochi e i suoi due migliori amici si ritrovano improvvisamente catapultati in una Tokyo parallela – se in un altro mondo o in una realtà virtuale aumentata non è dato bene saperlo – e sono costretti a giocare al Gioco. In termini simili, lo aveva già fatto Sword Art Online sei anni prima, pensare a cosa potrebbe succedere se all’improvviso ci si ritrovasse bloccati in un videogioco, anche se il tranello è che all’improvviso si deve giocare per la propria vita.
Alice in Borderland fa un passo in più: unendo la distopia di SAO al gore, il risultato è un survival game sanguinario e violento, dove oltre alla forza fisica contano anche l’intelligenza, il coraggio e la forza di volontà. Sempre con il dubbio se tutto quello che succede sia reale o no. E per noi occidentali sono innegabili i punti di contatto con le nostre distopie, in primis Black Mirror e Hunger Games. Qui tutto si basa sulla tecnologia, o meglio, sul sabotaggio di questa. Tutti gli apparecchi elettronici sono messi fuori uso e funzionano solo i telefoni usati dal game master per dare le regole dei giochi: ogni sera, un edificio della città si trasforma in un’arena di gioco e in una corsa contro il tempo per la sopravvivenza.
Apparentemente nessuno è obbligato a giocare, ma i laser che dal cielo colpiscono i giocatori che si tirano indietro sono sicuramente un buon incentivo. Alice in Borderland è geniale nel suo essere tremendamente contorta e piena di colpi di scena, un racconto molto dark e splatter che entra di diritto tra i migliori adattamenti tratti da un manga. Arisu, il protagonista, è la nostra Alice, non sa bene nemmeno lui come sia finito dentro la tana del Bianconiglio, solo che alla fine di ogni gioco il vincitore ottiene una carta. Per ogni seme una modalità di gioco diversa, per ogni numero un livello di difficoltà in più. Tokyo diventa così un paese delle meraviglie trasformato in incubo, un tutti contro tutti dove però l’obiettivo comune è tornare al mondo vero.
È questa l’intenzione della Spiaggia, un’organizzazione che raccoglie quasi la totalità dei giocatori, che lavorano insieme per raccogliere finalmente tutte le carte. Il leader, il Cappellaio Matto, la chiama utopia, perché mentre aspettano che il mazzo sia completo si organizzano feste e spensieratezza e divertimento sono i padroni di casa. Ma nella confusa alienazione di quella che sembra realtà – e realtà invece non è – l’utopia implode su sé stessa e si rivela essere l’incubo peggiore finora. Manca solo una carta, o almeno così pensano, ma quel dieci di cuori si rivela essere allo stesso tempo la fine e l’inizio di qualcosa di ancora più tremendo. Perché nessuno in realtà smette veramente di giocare…
Qui potete vedere il trailer di Alice in Borderland:
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