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Lech Majewski: «Valley of the Gods? Josh Harnett e la vita spirituale dei Navajo»

Gli attori, i paesaggi, le ispirazioni, gli indiani: il regista racconta come è nato il film

Lech Majewski sul set di Valley of the Gods
Lech Majewski sul set di Valley of the Gods

MILANO – Un’ancestrale leggenda navajo vuole che nelle rocce della Valle degli dei riposino gli spiriti di antiche divinità. Violarne la terra sacra significherebbe risvegliarli. È questa la leggenda da cui parte Lech Majewski per raccontare nel suo Valley of the Gods (al cinema dal 3 giugno), la perdita dei valori spirituali della società moderna. Agli indigeni d’America si intrecciano allora le storie di un Josh Hartnett nelle vesti di un giovane scrittore in crisi e dell’uomo più ricco del mondo, interpretato da John Malkovich (ma nel cast ci sono anche Keir Dullea e Bérénice Marlhoe). È la sua società che acquista la Valle degli dei per i giacimenti di uranio e con quest’ultimo atto di violenza contro la natura, segna il crollo della vita di ricchezze della società bianca occidentale. In una conferenza stampa via Zoom, Lech Majewski ha raccontato dell’idea dietro al film, della sua realizzazione e del profondo legame che i navajo conservano ancora oggi con la natura che li circonda.

Josh Hartnett e il regista
Josh Hartnett e il regista

L’IDEA – «Ero molto interessato a mostrare il grande diapason in America. Ho incontrato molti miliardari negli Stati Uniti che collezionano l’arte moderna e rimasto colpito dal potenziale che tutto questo denaro dava loro, come avessero un grande potere e delle grandi possibilità. E poi ho riscontrato in questa serie di incontri che la loro vita era molto diversa dalla mia: dovevano essere separati da quella comune e ordinaria, la loro prevedeva delle guardie che li proteggevano e delle grandi mura perché avevano paura di cosa gli sarebbe potuto succedere. Erano in una sorta di gabbia ed era incredibile come queste persone avessero una così scarsa libertà e allo stesso tempo con quel denaro potevano fare qualsiasi cosa volessero. Poi quando preparavo il film ho incontrato i navajo sono andato alla Valle degli dei. I navajo erano molto riluttanti a parlare con noi ma ero intrigato dal loro modo di essere. Ho iniziato a stabilire un rapporto con loro e ho cominciato a capire quale agio avessero nella loro vita interiore nonostante la loro povertà fisica. C’era una sorta di corrente elettrica tra i due opposti e ho cercato un modo per esprimerla.»

valley of the gods
Un indiano navajo in Valley of the Gods

I NAVAJO – «Credo che i navajo siano molto fieri di questo film. Uno dei loro capi ha detto che questo è il primo film prodotto da un uomo bianco che guarda le cose dalla loro prospettiva. Il film guarda il mondo nel loro stesso modo, non secondo la logica causa-effetto ma con un approccio anche poetico. Nella Valle degli dei i navajo sono delle creature viventi in uno spazio vuoto e una volta che si inizia ad ascoltarli e a capire come riescono a leggere la natura, si capisce che sono costantemente in comunicazione con coloro che non sono fisicamente lì. Spiritualmente sono sempre connessi ai loro antenati. Cosa che noi non siamo. Se guardate i totem, c’è sempre una persona sulle spalle di un’altra persona, una generazione sulle spalle dell’altra e tutto sommato la cosa interessante negli Stati Uniti è che il paese navajo è una distesa enorme con un’estrema povertà fisica di beni materiali, ma nei dintorni ci sono le persone più ricche del mondo tra la Silicon Valley e Las Vegas. È straordinario perché si può dire “un giorno sto tra i poveri e un giorno tra i ricchi”. Ma di che poveri parliamo, di che ricchi parliamo?»

Il castello dell’uomo più ricco del mondo in Valley of the Gods

I LUOGHI – «Per le riprese abbiamo girato nell’Utah, nella parte meridionale dello Stato, e poi ovviamente nel paese dei navajo tra New Mexico e Arizona. La cosa divertente è che l’interno del castello invece l’ho girato in Polonia. Gli interni sono di diversi castelli che si trovano nella parte meridionale della Polonia e poi abbiamo fatto una sorta di collage l’uno con l’altro. Le riprese della Fontana di Trevi sono state fatte a Roma, purtroppo non ci hanno dato i permessi per farci entrare i cantanti lirici che sono stati aggiunti successivamente. Non è stato facile perché è un luogo sempre frequentato dai turisti, ma le riprese della fontana sono vere.»

Lech Majewski e Bérénice Marlohe sul set di Valley of the Gods
Lech Majewski e Bérénice Marlohe sul set di Valley of the Gods

ISPIRAZIONI – «Io sono in realtà un figlio del cinema italiano e dei suoi film perché quando ero piccolo li vedevo e anche se non capivo nulla mi portavano in questo viaggio appassionante. Guardavo senza capire cosa succedesse ma sono rimasti con me in modo molto forte. Avevo mio zio a Venezia che insegnava al conservatorio e io andavo sempre a visitare le Gallerie dell’Accademia. La tempesta del Giorgione era un quadro che mi colpiva molto, questa pittura per me aveva tanti significati ed era pieno di mistero. Quando stavo cercando di decidere cosa fare nella mia vita, un giorno sono uscito dalle Gallerie e ho avuto come una visione, ho visto da qualche parte quella tempesta in una situazione diversa e ho fatto un collegamento. Ho visto che se Giorgione fosse stato vivo sarebbe stato Antonioni, e allora ho iniziato a studiare all’Accademia delle Belle Arti e poi a cimentarmi nei film. Quindi direi che il mio cinema ha radici italiane. Qui ci sono tanti riferimenti anche a Fellini, ma principalmente mi ha ispirato l’intera opera di Antonioni.»

Le tradizioni navajo raccontate in Valley of the Gods

LO SVILUPPO – «Ci ho messo tutta la vita a pensare il film. è stata una storia lunga. Ho visitato gli Stati Uniti occidentali per cercare il panorama con Viggo Mortensen e abbiamo visitato anche la Valle degli dei. Io sono poi tornato lì in inverno, la valle era coperta di neve e mi sono detto “adesso tocca a me”. Da lì ho scritto la storia, ho iniziato a sviluppare la trama, tutti i legami con i navajo mi sono tornati e una persona ha raccolto per me tutte le storie e le leggende della tradizione. Gli Stati Uniti in realtà sanno molto poco delle persone native, di quello che credono e pensano, quindi è un tesoro da conservare. Anche se per qualche motivo questo è sempre stato un po’ un pericolo per l’uomo bianco ed era molto affascinante per me esserne coinvolto. È stata un’avventura, un modo per entrare in un mondo diverso e poterne vedere il lato interiore. È un dono che ci viene dato. Io non posso fare i film solo perché devo farli, nemmeno per il denaro o per la fama, ma solo perché arricchiscono la mia personalità e mi permettono di fare un viaggio dentro me stesso.»

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Qui una scena in esclusiva di Valley of the Gods:

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