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The Lighthouse | L’enigma espressionista di Robert Eggers è già un cult

Girata in 4:3 e in 35mm, l’opera con Robert Pattinson e Willem Dafoe è imperdibile. La trovate su CHILI

Una bella illustrazione di The Lighthouse
Una bella illustrazione di The Lighthouse

ROMA – L’interdizione che resta, dopo un film com The Lighthouse, è il cherosene perfetto in grado di (ri)accendere la miccia del cinema. E non è un caso se utilizziamo il verbo accendere, dato che nel suo secondo lungometraggio – il primo è The Witch – Robert Eggers fa dell’intermittenza un filo comune, che tocca tutti gli aspetti filmici: fotografia, suono, montaggio, sceneggiatura. Li prende e li mescola, ci confonde su ciò che accade, sulla prospettiva di questa storia di mare e di leggende, girata in un bianco e nero espressionista (Jarin Blaschke, candidato all’Oscar per la Fotografia), come se dietro la macchina da presa ci fossero Murnau, Lang, Wiene.

Robert Pattinson e Willem Dafoe in The Lighthouse
Robert Pattinson e Willem Dafoe in The Lighthouse

E, contestualmente alla storia, filmata in 4:3 e in 35mm, Eggers sa perfettamente che sta osando, cosciente che le reazioni, dopo una pellicola come The Lighthouse, potrebbero non essere quelle sperate. Oppure no? Perché piacere a tutti i costi? In fondo, il potere mai confessato dell’arte è quello di dividere. Di spaccare il pensiero comune, provando a spostarlo un po’ più in là, lontano dalla comodità, dal porto sicuro. Provando, come accade qui, ad analizzare la metamorfosi umana, mischiando il mito di Prometeo con la letteratura di Edgar Alla Poe. Infatti, l’idea per The Lighthouse (che trovate in digital su CHILI) è arrivata a Max, fratello del regista, leggendo il racconto (forse) incompiuto di Poe, Il Faro.

Il faro
Il faro

L’idea non poteva non funzionare, così a finanziare il film, applaudito poi a Cannes, due realtà sinonimo di qualità: la New Regency e la A24. Dunque, di cosa parla The Lighthouse? Volendo mantenere il segreto più assoluto sui risvolti, basta sapere che i protagonisti sono due strepitosi Willem Dafoe e Robert Pattinson. Rispettivamente nei panni di un vecchio, scureggione e rabbioso, e del suo timoroso aiutante che, per quattro settimane, dovranno badare ad un faro su di un’isolotto sperduto (e spettrale) al largo delle coste del New England. Come in una terrificante fotografia di fine Ottocento, i loro volti sporchi e stanchi, escono e rientrano dalle tenebre, in un ciclo di luce e oscurità, dove Eggers si diverte a citare, riferire e spaventare quanto basta, mantenendo un’alternanza tra l’onirico e la realtà.

The Lighthouse
L’espressionismo di Robert Eggers

Il canto (o le urla?) delle sirene come simbolo metafisico e sessuale, il verso stridulo dei gabbiani, che sono le anime dannate dei marinai, ci ricorda Willem Dafoe alias Thomas Wake. L’odore del petrolio, quel combustibile nero essenziale per tenere costantemente accesa la luce del faro, scrigno di verità e di ascensione alla conoscenza. Mentre, come fosse un miraggio sonoro e inquietante, lo sbruffo funereo della nave, che li ha portati dritti in un inferno da cui è impossibile fare ritorno. Troppo inquieto il mare, troppo arrabbiato per i peccati dell’uomo. Allora, Eggers, in un film post-moderno e già memorabile, non lesina di stupire ed estasiare, raccogliendo lo spettatore a ridosso di una flebile fiamma che muta le ombre, i contorni e le parole. Proprio come un’antica superstizione, proprio come la miglior arte cinematografica.

Qui potete vedere una clip sul set del film:

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