ROMA – Nessuna paura, se alla fine di Sto Pensando di Finirla Qui non ci avete capito granché, è assolutamente normale. Del resto, a scrivere e dirigere il film, tratto dal romanzo di Iain Reid, c’è un genio come Charlie Kaufman, che ha sempre coinvolto lo spettatore in modo totale e totalizzante nelle sue storie (basti pensare a Essere John Malkovich, Il ladro di orchidee o Se mi lasci ti cancello), stimolando i meccanismi più intricati della mente. Infatti, in rete, fin dalla pubblicazione del libro (era il 2016), sono nati dei forum che hanno provato ad analizzare la storia di una Giovane Ragazza (già, apparentemente non ha un nome…), del suo fidanzato Jake e del loro assurdo viaggio in un magnifico incomprensibile.
Già, perché il film, distribuito da Netflix, sembra raccontare, per così dire, la prima conoscenza della Ragazza con i genitori di Jake (interpretati rispettivamente da Jessie Buckley, Jesse Plemons, Toni Collette e David Thewlis), durante una cena che sembra prendere poco dopo pieghe alquanto strane. Lì, per chi non ha letto il libro, arriva la prima intuizione: forse Kaufman ci sta trasportando in una sorta di horror psicologico, un thriller inquietante dalla sfumature creepy. No, siete fuori strada, I’m Thinking of Ending This, per usare il titolo originale, non è nulla di tutto questo. È di più, molto di più. Il condizionale, come avrete capito, è d’obbligo: 134 minuti di altissimo cinema in cui, come David Lynch in Mulholland Drive o Alain Resnais in L’Anno Scorso a Marienbad, si mette in scena il sogno e l’incubo, l’inconscio e il trascendentale.
Dunque, se state comprensibilmente cercando il filo di una folgorante matassa filmata in 4:3, proviamo ad aiutarvi, senza rivelarvi nulla, in questa recensione indubbiamente inconsueta. Con un consiglio, accettate e prendete Sto Pensando di Finirla Qui proprio come un sogno, di quelli che vi restano addosso fino alla mattina dopo; quei sogni interrotti a metà, in cui le persone cambiano volto, toni, personalità. Immaginate che il protagonista del sogno siete voi, proiettando inconsciamente sensazioni ed esperienze accumulate per anni. Alcune dimenticate, altre ancora vive nella testa. Ecco, la macchina da presa di Kaufman, che si muove lenta e alterna tre scenari decisamente simbolici (la casa dell’infanzia, l’abitacolo di una macchina, un liceo), mentre fuori (ma fuori dove?) imperversa una bufera di neve destinata a confondere idee e, soprattutto, la percezione temporale.
L’ermetismo metaforico di Kaufman, all’apparenza, è indistricabile. Eppure, qua e là, non mancano gli indizi da cogliere: la divisa di un bidello appena lavata, la cameretta d’infanzia, la foto di un cane, un’improbabile gelateria nel bel mezzo del nulla. Proiezioni, oggetti, frasi. Si mischia tutto, nei discorsi tra la Ragazza e Jake, mentre lei – continuamente – pensa “Che quella è l’ultima volta con lui, che sarebbe meglio finirla qui”. E, se sono pensieri, come fa Jake ad intuirli e anticiparli? Ma soprattutto: “finire qui” cosa? La loro relazione? Quella fallimentare serata fuori porta? Oppure… La lettura definitiva, sotto una coltre di neve destinata ad aumentare, arriva con il tempo; quel tempo che Kaufman controlla alla perfezione: lo dilata, lo restringe, lo rende addirittura una variabile soggettiva, rivedendo quelle leggi della fisica che non valgono quando si oltrepassa il confine dell’Io, dell’Es e del Super Io.
Allora, continuando con un condizionale protagonista, forse quello che vediamo non esiste. O meglio, esiste solo nella mente della Ragazza, di Jake o del Bidello, l’altra punta del triangolo magico, colui che sembra custodire la verità, la soluzione ad un enigma sotto forma di grande cinema. Se questo, unendo i puntini, è l’elemento da cui partire, il bivio è emblematico quando dobbiamo decidere chi sia l’artefice dell’oscura proiezione, tra ricordi, desideri infranti, solitudine e, in particolar modo, accettazione. Di più, non ci spingiamo per non influenzarvi. Invece, la pellicola è la dimostrazione che il cinema è materia malleabile come lo è la mente umana, suscettibile e suggestionabile. Charlie Kaufman, ancora una volta, lo ha capito meglio di tutti, avvicinandosi davvero a quella straniante emozione che si prova dopo aver sognato l’impossibile. E basterebbe questo per dire che Sto Pensando di Finirla Qui è un grandissimo film.
Il primo romanzo di un formidabile sceneggiatore: Antkind di Charlie Kaufman
Qui potete vedere il trailer del film:
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