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La crisi, il lockdown e un’altra idea di futuro | Il caso Sardegna Film Commission

Una Film Commission può salvare il cinema dalla crisi? Intervista a Nevina Satta, CEO della Fondazione

Una produzione gira sull'isola dell'Asinara, in Sardegna.
Industry

LA MADDALENA – Quello tra la Sardegna e il cinema? Un amore tenace, forte, come la gente di questa terra, che il Covid non è riuscito a spezzare in questi mesi. «Ma abbiamo anche dato il massimo perché questo non accadesse», riflette Nevina Satta, Ceo della Fondazione Sardegna Film Commission, oggi una delle più giovani Film Commission italiane, «ma anche una delle più aggressive nel panorama europeo», ci tiene ad aggiungere lei. «In periodo complicato da una parte abbiamo agito come una sorta di pronto soccorso per dare aiuto alle realtà in difficoltà e dall’altra, con il nuovo CDA, abbiamo ripensato la strategia degli investimenti per arrivare a fare il salto di qualità». Ma come? Ecco le iniziative intraprese dalla Sardegna Film Commission per ripensare il domani e per capire come riscrivere il futuro del cinema italiano, passo dopo passo.

Sardegna Film Commission
Una scena del corto Hansel & Gretel – I Fratelli Green di Matteo Incollu.

IL SOSTEGNO – «Partiamo da qui: questo 2020 ha segnato un maggiore impegno per la Sardegna Film Commission come istituzione a mettere ordine nel caos che il lockdown aveva creato con circa trenta produzioni sospese. Ad esempio, insieme alle altre film commission italiane abbiamo funzionato come polo di attrazione e gestione del Relief Fund di Netflix creato per dare supporto economico proprio a figure professionali dell’industria televisiva e cinematografica i cui set erano stati sospesi nella pandemia».

Un’immagine di Sardinia Green Trip di Andrea Mura.

LA STRATEGIA – «Abbiamo cercato una modalità di investimento diversa, che non fosse solo mettere le toppe dove i tubi perdevano, ma cercando di ripensare il sistema di irrigazione dei finanziamenti pubblici e portarli là dove servono. Siamo partiti dalla categoria colpita per prima e più palesemente: gli esercenti. Ancora oggi la Sardegna ha meno di dieci sale aperte (su 40). La parziale riapertura dei cinema e un incasso da sold out registrato ogni giorno nelle arene estive hanno dimostrato l’amore della nostra terra per il cinema e sono diventate la risposta giusta dell’isola al bisogno di una visione condivisa».

Un frame di Il mio cane si chiama vento di Peter Marcias.

L’ANIMAZIONE – «Il nostro progetto più ambizioso? Trasformare la Sardegna in un mini studio hub dell’animazione: è un linguaggio visivo che offre un grande vantaggio in questo momento perché si lavora in qualsiasi condizione, anche con lockdown e distanziamenti. Non avendo set basta un collegamento elettrico e una connessione internet. In tal senso, con il progetto NAS (New Animation in Sardegna) città come Cagliari, Nuoro, Alghero e Olbia diventano centri di formazione e produzione di riferimento dell’animazione per studenti e professionisti. Il nostro obiettivo? Dare a una terra con uno dei più alti tassi di disoccupazione giovanile d’Italia una speranza occupazionale che sia anche un po’ eretica, non orientata solo sul turismo. E l’idea sta funzionando, tanto che stiano per lanciare il primo videogame interamente ambientato in Sardegna…».

Una scena di una web series: City of Eden.

UNA RETE PER LE DONNE – «Dal 2014 abbiamo creato il sottogruppo di Women in Film and Audiovisual in Sardegna, un’interessante occasione di incontro e formazione che risponde all’esigenza non solo di aggiornamento professionale da parte delle donne che operano nel settore sull’isola, ma anche al bisogno di conoscere sugli strumenti disponibili per sostenere la loro attività. Un esempio? Scoprire l’esistenza dei fondi di garanzia o dei progetti europei a supporto dell’imprenditoria femminile e giovanile. In questo modo siamo riuscite a creare un network di donne nell’audiovisivo in Sardegna. Prima eravamo sparse sul territorio. Ora siamo una rete e insieme possiamo fare grandi cose».

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