MILANO – Soltanto una foto documenta l’incontro che si è tenuto tra Elvis Presley e Richard Nixon nel dicembre del 1970. Quella foto è il punto d’arrivo – e punto di partenza – dell’irresistibile e sottovalutato Elvis & Nixon di Liza Johnson, non un doppio biopic, non un ritratto approfondito e complesso di due delle figure più enigmatiche dell’America del Novecento, bensì altro, una commedia dell’arte da camera. Due maschere comiche e decadenti che si temono, si rispettano, solidarizzano e simpatizzano, ironizzando perfino sugli inglesi Beatles che deviano le giovani menti della cultura americana, definendo Woodstock: «Un pretesto per drogarsi, stare nudi e rotolare nel fango», e confrontando le rispettive dimore, la Casa Bianca contro Graceland, che in fondo si assomigliano molto di più di quanto gli stessi proprietari di casa possano pensare.
Non sanno ancora però che quel momento immortalato sarà uno degli ultimi traguardi popolari e mediatici della loro carriera: per Elvis comincerà gradualmente quel lento periodo di appannamento e autodistruzione che lo porterà poi a ingrassare e ad autoparodiarsi involontariamente sulle scene di Las Vegas fino alla morte nell’agosto del 1977; per Nixon, lo scandalo di Watergate è dietro l’angolo e la sua fine politica sarà ormai inevitabile. Ma perché l’uomo più potente del mondo e la rockstar più celebre del pianeta si vollero incontrare?
Presley per ottenere il tesserino di “agente speciale aggiunto”, infiltrarsi come spia tra i movimenti hippie, tra cui è certo che si nascondano pericolosi emissari comunisti, e dare il suo contributo alla guerra alla droga. Nixon invece, dapprima contrario all’idea di ricevere Elvis, si fa convincere dalla possibilità di fare bella figura nei confronti della moglie e delle figlie e di ottenere un riscontro d’immagine positivo da parte dell’elettorato più giovane. Chiaramente Elvis & Nixon (lo trovate su Prime Video) prende in giro con garbo e intelligenza i due personaggi destrorsi ed egocentrici, un po’ infantili ma indubbiamente divertenti, impersonati con sublime grandezza da Michael Shannon e Kevin Spacey.
Nonostante Shannon assomigli poco al Re di Memphis, il suo Elvis è credibile ed efficace, un uomo consapevole di non essere più il ribelle del Tennessee ma un’icona, uno spot promozionale, un oggetto di propaganda; Spacey invece pur evitando di scimmiottare lo stereotipo nixoniano, rende il presidente un individuo accessibile e farsesco, facilmente condizionabile dalle richieste stravaganti e dall’eccentrica spavalderia del suo ospite. E non c’è dubbio che la brillante e fantasiosa sceneggiatura di Joey e Hanala Sagal e Cary Elwes giochi le carte migliori proprio nella mezz’ora finale.
In quella mezz’ora Nixon e Elvis sembrano voler prolungare quello spazio di reciproca simpatia maschile che si sono concessi, quasi illudendosi di ritardare per sempre gli scandali, il declino, la solitudine e la fine dei giorni di gloria.
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