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Queer as Folk | Un reboot sempre più queer per il cult LGBTQ+

La serie creata da Russell T. Davies a fine anni Novanta è tornata. Sarà all’altezza dell’originale?

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Torna una delle serie LGBTQ+ più amate di sempre: il reboot di Queer as Folk è qui

MILANO – In un tempo in cui le “storie gay” in televisione non erano ancora ben viste, Queer as Folk, la serie ideata da Russell T. Davies nel 1999, è stata un baluardo della serialità LGBTQ+ per molti anni. Un anno dopo, il remake anche negli Stati Uniti ha portato la serie ad essere un piccolo cult di cui, nonostante le sue imperfezioni, andiamo ancora fieri. Da Manchester a New Orleans, oggi Queer as Folk ritorna, in streaming su Starzplay, con un reboot che in tanti aspettavano e che sicuramente non era facile realizzare. Nuovi personaggi, nuove storie, un solo imperativo: essere più queer che mai.

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Brodie e Ruthie tra i protagonisti di Queer as Folk

Per le strade di New Orleans scorrono le vite dei protagonisti, un gruppo eterogeneo di amici, nemici, amanti e flirt. C’è Mingus, adolescente non binariə che sogna di diventare drag queen; ci sono Ruthie, una donna transgender che insegna inglese al liceo, e la sua compagna Ruthie che aspettano il primo figlio; ci sono Brodie, un complicato ragazzo gay che fa da protagonista principale della serie, l’ex-fidanzato Noah e il fratello Julian. Sono le loro storie a comporre il mosaico che questa nuova versione di Queer as Folk porta sullo schermo. Con qualche differenza dall’originale, ovviamente. La tradizione da cui poteva attingere era talmente vasta e variegata che c’era solo l’imbarazzo della scelta.

Mingus in una scena di Queer as Folk

Stephen Dunn, l’attuale produttore, ha deciso di mischiare un po’ le carte in tavola. Queer as Folk era, nella sua basilare e più semplice delle accezioni, una soap opera. Il piglio leggero e ironico che la pervadeva era una delle caratteristiche che l’hanno fatta amare dal pubblico. Nel 2022, la serie mantiene un tono leggero ma il dramma si insinua comunque tra le sue pieghe. In parte perché non siamo più abituati alle soap di un tempo, in parte perché l’attuale situazione della comunità LGBTQ+ – soprattutto negli Stati Uniti, dove è ambientata – è tutt’altro che spensierata. Gli otto episodi della serie, allora, partono da un tremendo evento. Con un rimando alla tragedia del Pulse Nightclub del 2016, i protagonisti rimangono coinvolti in una sparatoria al fittizio Babylon Club.

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Il Babylon Club di Queer as Folk

Le vicende si alternano così tra la vita quotidiana dei protagonisti, fatta di litigi, amori e passioni, con il difficile percorso per elaborare il trauma subito e i lutti delle persone che hanno perso. Come tutti gli esseri umani, non sono perfetti. Anzi, sono ben lontani dall’essere un esempio impeccabile su come ci si dovrebbe comportare, prima di tutto nelle relazioni. I personaggi sono estremamente egoisti, a volte anche appositamente antipatici. Ma è proprio questo che li rende veri. E se c’è una cosa che Queer as Folk riesce a trasformare nel suo punto di forza, questa è la sensibilità. Sì al dramma, no alla crudeltà. Il tutto è attutito, quasi ovattato, dagli scontri fino alla sparatoria, che è più suggerita che mostrata. Sono questi i valori della serie: pro-LGBTQ+, contro la violenza e la transfobia.

Una scena di Queer as Folk

La serie reimmaginata da Stephen Dunn vuole essere un mondo che rispecchia la varietà della nostra realtà, dove ognuno può essere sé stesso nonostante chi cerca di tagliargli le ali. Un mondo fatto di colori e luci neon, di tacchi e paillettes, di legami e di una libertà sessuale di cui andare fieri. È un ritratto confortevole e allo stesso tempo complesso ed estremamente umano di un mondo in cui i protagonisti trovano la gente che gli appartiene, famiglie non di sangue ma per scelta, mentre tutto intorno a loro si muove costantemente. È la vita, quella che tutti dobbiamo affrontare. Farlo con Queer as Folk è decisamente un viaggio in buona compagnia.

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Qui il trailer di Queer as Folk:

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