ROMA – Facciamo un passo indietro: ambientato tra il 1992 e il 1995, Ping Pong: Il Ritorno segue la storia di Dai Minjia (Deng Chao), un allenatore di ping pong, che torna in Cina dopo essere stato all’estero con l’obiettivo di trasformare la squadra nazionale. Sotto la sua guida, cinque giocatori (Ding Song, Ma Wenge, Wang Tao, Liu Guoliang e Kong Linghui) competono nei Campionati Mondiali a Tianjin, mettendo in atto una disperata controffensiva. Ping Pong: Il Ritorno, di Deng Chao e Yu Baimei, ora al cinema con Imago Communication. Il film coglie l’essenza del ping pong cinese, raccontandoci una storia vera, quella della nazionale maschile, caratterizzata da sfide e trionfi. In quegli anni, la nazionale svedese aveva vinto contro la Cina, segnando una svolta epocale nella storia del ping pong.
La Cina colse al balzo la sfida, rivedendo strategie ed allenamenti per rimanere ai vertici. Qui entra in scena Cai Zhenhua – il vero Dai Minjia – che dal 1980 al 1986 vinse diverse medaglie in singolo, doppio e a squadre negli open asiatici e nei Campionati del Mondo di tennis da tavolo, per poi tornare come allenatore capo della squadra maschile cinese dal 1991 al 2004. Ping Pong: Il Ritorno si focalizza proprio in quel particolare momento storico-sociale. Perché – e ve lo diciamo subito – è sempre stato un affare serio il tennistavolo. Nel 1970 fu, infatti, al centro della diplomazia mondiale in occasione di un formidabile incontro amichevole tra la nazionale statunitense e quella cinese.
I giocatori statunitensi furono infatti i primi ad ottenere il permesso per entrare nel territorio cinese dopo l’instaurazione del regime di Mao. Prima di loro soltanto undici rappresentanti del partito internazionale delle Pantere Nere. Fu un evento insomma, e la nazionale cinese era l’eccellenza incontrastata. Soltanto negli anni Ottanta – proprio nel periodo d’oro di Cai Zhenhua – la I.T.T.F. – International Table Tennis Federation introdusse una serie di modifiche legate al tipo d’impugnatura da adottare a livello mondiale che creò più di un grattacapo alla tradizione cinese del tennistavolo. Questo ci porta proprio a Ping Pong: Il Ritorno. Un film sportivo nella sua essenza più pura che unisce dinamismo registico, tensioni politiche, agonismo ai massimi livelli e spirito di sacrificio nel raccontare di una grande epica: la rinascita del tennistavolo in Cina.
In tal senso, quella di Chao e Baimei è una storia delle più classiche ma che vive, paradossalmente, di un forte contrasto interiore. La Cina e il tennistavolo: Un binomio inscindibile. La forza della narrazione di Ping Pong: Il Ritorno sta proprio nell’aver scelto di raccontare l’episodio legato a Cai Zhenhua/Dai Minjia, vale a dire, un underdog, un vincente ormai ritiratosi, messo con le spalle al muro e costretto ad un’impresa storica sotto le pressioni della stampa e della Federazione, che punta sulla voglia di riscatto della sua selezione. Due wonderkid nemmeno maggiorenni, un ex-giocatore richiamato dal ritiro e un paio di talenti purissimi (ma dal carattere impossibile).
Un ritorno alla gloria quindi, da cui la scelta di parole usata dalla distribuzione italiana, che identifica bene i connotati narrativi di un Ping Pong: Il Ritorno dal linguaggio semplice e dall’andamento armonico che vive di spunti e di immediatezza – forse un po’ troppo ridondante e prolisso in termini di consistenza e durata (137 minuti, ritmo arrancante e più di un paio di lungaggini) – ma tremendamente efficace e decisivo nei suoi risultati filmici. Un biopic sportivo (giustamente) celebrativo di una delle più grandi pagine della storia del tennis tavolo.
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