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Paola Scola: «Mio papà Ettore? Un regista che amava gli esseri umani»

L’intervista alla figlia del regista, che assieme alla sorella Silvia ha scritto un libro dedicato al papà

Ettore Scola

ROMA – Un libro (bellissimo) che racconta la grandezza umana e artistica di Ettore Scola. Si intitola Chiamiamo il babbo, come uno dei tormentoni che hanno caratterizzato il loro linguaggio familiare, e lo hanno scritto insieme le due figlie del regista, Paola e Silvia.  È sempre difficile condensare in un volume la figura di un uomo stimolante e ironico, un padre premuroso e affettuoso, ma le autrici ci sono riuscite in pieno. Tanto che al termine della lettura si ha la sensazione di aver scoperto tanti lati nascosti di una persona rara. Uno dei più autorevoli autori del cinema italiano? Certo, chi potrebbe mai negarlo. Anche se non era questo lo scopo principale delle sorelle Scola. Ne abbiamo parlato con Paola Scola che ci ha raccontato qualcosa in più di questa avventura letteraria emozionante.

Ettore Scola e le figlie Silvia e Paola

Paola, com’è stato avere un padre come Ettore Scola?
«È stato davvero avere un padre, avere una famiglia. A prescindere da quello che faceva e da chi era, quello lo capisci solo da adulto. Considerato il fatto che mamma è una donna più fredda, lui è stato sia mamma che papà. Era molto chioccia, molto protettivo e molto presente. È stato davvero un pilastro della nostra vita».

Paola Scola
Brutti, sporchi e cattivi

Qual è stato secondo lei il tratto caratteriale distintivo di suo padre?
«Era un uomo che amava le persone. La sua passione sociale non era ideologica, ma emotiva. Nutriva curiosità per la gente e questo dal suo lavoro traspare. I suoi risultati erano così caldi perché partivano da una spinta emotiva reale. Questo ci ha insegnato che nella vita la cosa più importante sono i rapporti con le persone. Lui aveva come amici fraterni da intellettuali straordinari come Sergio Amidei, fino alla nostra tata Irene, che da noi si è sposata e da noi ha avuto il primo figlio ed era parte della famiglia, come tutte le persone a cui voleva bene».

Nel libro elencate quattro capolavori e mezzo: C’eravamo tanto amati, Brutti, sporchi e cattivi, La famiglia, Una giornata particolare e il cortometraggio ’43 – ’97… C’è un filo che lega questi film?
«Credo sia quello che le ho già detto, la passione per la gente. Brutti, sporchi e cattivi resta per me il suo capolavoro assoluto, forse il meno capito, ma che esprime di più questo concetto. C’era amore anche nel raccontare queste persone così bestiali, che in fondo lo erano non per colpa loro. Guardando Parasite l’altra sera ho pensato che in qualche modo potesse essere un Brutti, sporchi e cattivi coreano. Questa passione per la gente è il filo che unisce anche Una giornata particolare. Qui si parla di altri emarginati, altri diversi, di solitudini, di una casalinga ignorante schiacciata dall’ideologia fascista e un gay che non aveva diritto di esprimersi».

Paola Scola
Marcello Mastroianni e Monica Vitti

Quale film di suo padre deve vedere un ventenne per incuriosirsi e conoscere di più il cinema di Scola?
«Ci penso un attimo perché secondo me ce ne sono tantissimi, ma comincerei da una cosa leggera, senza violentarlo troppo questo ragazzo con cose troppo dirette. E quindi potrebbe iniziare con Dramma della gelosia (Tutti i particolari in cronaca), che sembra una commedia semplice, un triangolo proletario, dove però mio padre comincia a mettere in campo delle questioni che poi diventeranno di tutti; come il problema del privato che è politico, un topos degli anni a seguire. Un tema che nasce dall’amore per la gente, diventa passione sociale, diventa ideologia politica e ritorna nel film. Forse per un ventenne è bello cominciare da lì e si fa pure qualche risata».

Anche più di una! Penso in particolare all’esilarante sequenza della seduta dallo psicologo di Monica Vitti-Adelaide Ciafrocchi…
«Ecco, lì mio padre ha sdoganato il diritto del proletario alla nevrosi. Prima certi problemi erano della borghesia e se ne occupava solo un certo cinema come quello di Michelangelo Antonioni».

Paola Scola
Ettore Scola e Pif in Ridendo e scherzando

Quando avete girato Ridendo e scherzando è stato collaborativo oppure vi ha fatte penare?
«Lui stava con i talloni puntati, non lo voleva proprio fare il documentario, anche se era stato convinto da nostra madre a farlo. Non gli piaceva per niente mettersi in mostra, ma si era scelto un mestiere che aveva come effetto collaterale anche il fatto di raccontarsi, soprattutto se il tuo lavoro diventa popolare e piace alle persone. La cosa più difficile è stata innanzi tutto trovare un interlocutore che gli piacesse e ne abbiamo vagliati tantissimi prima di arrivare a Pif. Non lo conosceva come intervistatore delle Iene ma gli era piaciuto come regista di La mafia uccide solo d’estate. L’idea era far rispondere alle domande che gli facevamo fare da Pif oggi con le interviste che aveva rilasciato in tutta la vita. Poi, ci sarebbe stata qualche chiosa, qualche commento aggiunti nel duetto con Pif. Siccome lui era infastidito, abbiamo dovuto tracciare una canovaccio, ricordandogli le cose che aveva detto; è stato un po’ faticoso e duro, ma alla fine è stato molto contento del risultato. Quando gli hanno chiesto se il documentario gli fosse piaciuto ha risposto alla sua maniera “ma sì, non ho trovato estremi per quelerare“. Per noi è stato molto, significava che gli era andato bene».

Ivano De Matteo sul set di I nostri ragazzi

C’è un erede di Scola oggi?
«Sì, assolutamente sì anche se non è stato ancora valorizzato a dovere. Si tratta di Ivano De Matteo, autore di La bella gente e L’equilibrista. Ha lo stesso amore e passione per le persone e la stessa ironia di papà. Mi piacerebbe che andasse avanti perché è il più grande che abbiamo in questo momento».

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