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Niccolò Agliardi: «Io, La vita davanti a sé e il Golden Globe vinto con Laura Pausini»

Da Invece no a Io sì. Il cantautore racconta il rapporto con Laura Pausini e la vittoria ai Golden Globe

niccolò agliardi
Niccolò Agliardi

MILANO – «Quando ho ricevuto la notizia della vittoria stavo veramente dormendo perché è accaduta alle tre del mattino e non sono riuscito a seguire la cerimonia. Mi sono svegliato, anche con un po’ di sensi di colpa e ho visto tutta una serie di messaggi da parte di Laura e del suo staff. Ho fatto fatica a crederci e a realizzare la cosa». Così Niccolò Agliardi, grande cantautore e compositore italiano, ci ha raccontato del momento in cui ha saputo di aver vinto, insieme a Laura Pausini, il Golden Globe 2021 per la Miglior canzone originale con il brano Io sì (Seen), nella colonna sonora del film La vita davanti a sé, diretto da Edoardo Ponti e con Sophia Loren. Niccolò Agliardi ha collaborato negli anni con grandi nomi della musica italiana tra cui, oltre al longevo sodalizio con la Pausini, Zucchero, Irene Fornaciari, Eros Ramazzotti ed Emma, e ha pubblicato quattro dischi di inediti, per cui ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti, sia dal pubblico che dalla critica. Lo abbiamo contattato in occasione della premiazione, e ci ha raccontato delle prime sensazioni dopo la vittoria e della collaborazione con Laura Pausini, tra il sentimento italiano e lo scrivere canzoni per una sceneggiatura.

niccolò agliardi
Dal profilo Instagram di Niccolò Agliardi

Niccolò, cosa si prova a vincere un Golden Globe?

«Ho ricevuto la notizia mentre stavo dormendo e ho fatto obiettivamente fatica a rientrare dal sonno alla veglia. Ho pensato semplicemente di aver ricevuto una bella notizia e non ne ho minimamente compreso la portata, cosa che invece sono riuscito ad analizzare solo dopo, in una giornata che è stata veramente epocale. È raro ricevere questa ondata di affetto e di attenzioni: immagina quando ricevi gli auguri di compleanno e amplificala di molto. È come se fosse stata la mia festa! Sapevo di condividerla con Laura e con tutte le persone che hanno lavorato a questo progetto, ma era proprio una festa. Ho passato più tempo a ringraziare e a commuovermi, anche perché d’altronde non dovevo fare nient’altro, quello che c’era da fare l’avevo fatto prima».

Deve essere una grande soddisfazione personale ma anche motivo di orgoglio per le maestranze italiane riconosciute all’estero…

«Certo, anche perché il film è sì internazionale, ma ha un sentimento italiano. Lo dico perché è un sentimento tipico dell’accoglienza italiana. L’Italia è una nazione tutto sommato di gente molto generosa, disposta a fare dei sacrifici e a fare gesti d’amore inaspettati. Il personaggio di Sophia Loren incarna perfettamente la generosità del popolo italiano e la capacità di accogliere anche laddove tutto sembra impossibile. Quindi mi sono sentito appartenente a un gruppo che ha come missione quella di trasmettere, infondere e amplificare questo senso di accoglienza».

Con Laura Pausini c’è un sodalizio che dura da anni, come si è sviluppato questo rapporto?

«Ormai lo definirei quasi antico, perché è iniziato nel 2008. Anche il nostro primo lavoro insieme è diventato un successo e siamo stati nominati ai Latin Grammy con la canzone Invece no. Da lì è nato un sodalizio robusto, solido, rispettoso, spesso sconfina nell’amicizia ma è bello perché è leale. È un’amicizia che magari non prevede una grossa frequentazione perché entrambi abbiamo delle vite abbastanza complesse e la sua è decisamente piena, però ci sentiamo spesso, almeno una volta a settimana. Non capita mai che passi più di una settimana senza che ci si scriva qualcosa. Poi arriva un momento in cui ci si incontra per un tempo più prolungato e si sta insieme magari anche per venti giorni o un mese per lavorare sulle canzoni. È un rapporto che io definirei molto sano perché ci siamo l’uno per l’altra nella vita e ci siamo quando serve nel lavoro. Le due cose si mescolano».

Come è nata invece la collaborazione per Io sì?

«Purtroppo in tempo di Covid non ci siamo potuti incontrare, ci siamo sentiti e lei mi ha chiesto di vedere questo film prodotto da Palomar, una casa di produzione molto importante. Il produttore Nicola Serra quest’estate mi parlò di questo film con molto entusiasmo e allegria, molto speranzoso, e me ne ha parlato così, come si racconta una cosa bella che uno sta facendo nel lavoro. Poco dopo mi è arrivata la richiesta di Laura di scrivere il testo italiano su questa canzone di Diane Warren. E quindi io ho molto sorriso, perché nel giro di poche ore entrambi mi stavano parlando di una storia che li aveva emozionati. Ho pensato che fosse uno di quei divertenti pizzicotti del destino che ti chiede di svegliarti e partecipare».

Oltre alla storia del film La vita davanti a sé, tratta dal romanzo di Romain Gary, quali sono state le ispirazioni per la canzone?

«È molto facile rispondere a questa domanda perché io sono un papà single affidatario. Significa che io ho due figli in affido, quindi non generati da me, ma sono un papà che ha deciso qualche anno fa di accogliere nella propria casa due giovani che sono stati sfortunati nella loro vita. E quindi l’ispirazione non è stata niente di diverso dalla mia vita, ho guardato in faccia mio figlio, quello che abita con me in questo momento e gli ho detto: «Guarda, mi hanno proposto di scrivere una canzone che parla di una storia molto simile alla nostra» e lui mi ha detto «Bene, non farai fatica». E infatti non ho fatto molta fatica…».

Niccolò Agliardi

Che lavoro c’è dietro lo scrivere una canzone per un film? È diverso o più difficile rispetto allo scrivere una canzone per un album?

«La risposta è sì. Ma se devo essere onesto: in questo momento mi piace quasi più scrivere su storie che altri hanno raccontato prima di me. Mi spiego. Dopo l’esperienza con Braccialetti rossi, per cui ho scritto canzoni legate alla sceneggiatura, è capitato già altre volte che scrivessi per altri, come per esempio nel film di Michela Andreozzi Nove lune e mezza, dove ho scritto una canzone che poi ha cantato Arisa, e sta succedendo la stessa cosa per una nuova produzione. Ecco, rispetto al lavoro che ho fatto per tanti anni, dove dovevo trovare ispirazione da un vissuto personale e scavare molto in fondo al mio sentire, devo dire che mi piace molto scrivere canzoni leggendo storie degli altri, interpretandole ed estrapolando parole che chi ha scritto la storia magari nemmeno si è accorto di quanto fossero potenti e immaginifiche. E mi diverto a scovare nella trama di una sceneggiatura quei denominatori che poi mi permettono di creare una canzone. Quindi sì, è diverso dallo scrivere una canzone normale, ci vuole molto rispetto per chi ha scritto prima di te, ci vuole molta attenzione, empatia e confronto con la storia raccontata, bisogna cercare di immedesimarsi sapendo che devi fare semplicemente una bella cornice a una storia già esistente».

Durante la lavorazione del film hai avuto modo di avere rapporti anche con il cast o è stato un lavoro a parte?

«No, io sono arrivato a film terminato. Ho lavorato a stretto contatto con il regista, Edoardo Ponti, anche se a distanza perché lui era a Los Angeles e io a Milano – quindi viva il nostro amato Zoom e le chiamate intercontinentali! – e ho lavorato facendo sponda tra lui e Laura, per rispettare anche le esigenze registiche. Edoardo chiedeva alcune frasi, alcune sfumature di cui aveva bisogno proprio perché è la canzone che chiude il film e doveva avere tutta una serie di riferimenti che servivano per accompagnare fuori dalla sala, o in questo caso dalla stanza del nostro salotto, con delle immagini ben precise che solo una canzone ti può lasciare».

Una grande carriera come compositore e autore, quali sono le tue ispirazioni dal punto di vista musicale?

«Io sono un cantautore che è cresciuto ascoltando i cantautori. Amo perdutamente, quasi paternamente, Francesco de Gregori, che mi ha allevato senza neanche esserne particolarmente senziente, perché sono cresciuto ascoltando le sue cose e non ho avuto la possibilità di dirglielo se non tardivamente. Sono cresciuto con le parole di Ivano Fossati, con la poetica di Roberto Vecchioni e poi con il rock americano di Dylan e Bruce Springsteen. Oggi ascolto tanto, non sempre mi emoziono ma apprezzo la poeticità o anche soltanto l’obiettivo di intrattenere. Non lo trovo disdicevole nella musica contemporanea».

Un’ultima domanda… qual è un film di cui ti ha colpito particolarmente la colonna sonora?

«Bella domanda… Quando ho scritto l’ultimo romanzo, Per un po’ (edito da Salani, ndr), che racconta proprio della mia storia di genitore affidatario, ho visto sotto suggerimento di un’amica sceneggiatrice un film che mi è piaciuto molto che si chiama Beautiful Boy, interpretato da Timothée Chalamet e che racconta proprio la storia di un ragazzino che ha un problema di dipendenze. Ecco, quel film con quella colonna sonora mi ha creato delle suggestioni talmente potenti, talmente ricche e vere che mi ha aiutato moltissimo a scrivere il mio romanzo. E quindi credo che veramente molto spesso l’unione tra musica e immagini abbia la possibilità di far decollare non solo il prodotto ma anche chi il prodotto lo guarda da spettatore e gode delle sue potenzialità»

Qui potete vedere il trailer de La vita davanti a sé:

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