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Anche Netflix fa flop: Velvet Buzzsaw e l’inutile galleria d’arte di Jake Gyllenhaal

Dopo il passaggio al Sundance, subito su Netflix il film di Dan Gilroy. Che però risulta un pasticcio…

Jake Gyllenhaal e Zawe Ashton in una scena di Velvet Buzzsaw.
Freshly Popped

MILANO – Presentato all’ultima edizione del Sundance, Velvet Buzzsaw approda immediatamente su Netflix ma si rivela un film poco convincente, in linea con la maggior parte dei lungometraggi di finzione originali prodotti dalla piattaforma. Dan Gilroy non è infatti il primo autore a fallire il salto dal grande schermo allo streaming: fatta eccezione per gli exploit di Roma e Sulla mia pelle, è difficile difendere titoli come Bird Box di Susanne Bier, Bright di David Ayer oppure War Machine di David Michod. Eppure erano tutti registi che avevano convinto quasi all’unanimità critica e pubblico con i lavori precedenti. Perfino Annientamento del promettente Alex Garland, reduce dal bellissimo sci-fi Ex Machina, e 22 luglio del veterano Paul Greengrass non sono stati immuni da pareri contrastanti.

Jake Gyllenhaal con il regista Dan Gilroy e Rene Russo sul set di Velvet Buzzsaw.

Nel caso di Gilroy, sembra che questa terza prova, successiva al notevole Lo sciacallo – The Nightcrawler, sempre con Gyllenhaal, e al buon End of Justice, si preoccupi di acchiappare più di un target di riferimento piuttosto che cercare uno stile e un’identità. Velvet Buzzsaw diventa così uno strano impasto tra commedia sarcastica sul mondo dell’arte contemporanea, sulle orme della Palma d’oro The Square, e un horror sovrannaturale del tutto impalpabile, che non spaventa e nemmeno  affascina visivamente, utilizzando alcuni luoghi comuni del genere in maniera superficiale e poco decisa.

Ancora Gyllenhaal, nel ruolo di Morf Vandewalt, e Rene Russo che interpreta Rhodora Haze.

Il dubbio? Che qui la principale preoccupazione dei produttori sia stata quella di avvicinare due tipi di utenti differenti: il cinefilo attento alla possibile autorialità di ciò che lo circonda, magari attratto dalla partecipazione di nomi come Jake Gyllenhaal, Rene Russo, Toni Collette e John Malkovich; l’appassionato trasversale di horror, che fagocita qualsiasi cosa in nome della fame di spavento, sussulti e grida, e che nella peggiore delle ipotesi si accontenta di qualche suggestione estetica. E così risulta sprecata la stessa presenza di Gyllenhaal in un ruolo ironico e inedito per lui: un critico d’arte dai vezzi tipicamente radical-chic, egocentrico e narciso, secondo cui «una cattiva recensione è sempre meglio dell’anonimato».

Toni Collette in una scena di Velvet Buzzsaw.

Può darsi che l’intenzione di Gilroy fosse quella di giocare volontariamente in modo caricaturale e semi-demenziale con il teatrino di galleristi, consulenti e pseudo-artisti che vengono ritratti, ma la satira alla fine non risulta mai davvero graffiante e si riduce a qualche sporadica risatina per la successione di situazioni grottesche e grossolane che si accavallano stancamente per quasi due ore. E una visione così, da consumare magari distesi sul divano di casa fronte a un tablet, è difficilmente esente da sbadigli che, minuto dopo minuto, diventano sempre più inesorabili.

  • Qui il trailer di Velvet Buzzsaw:

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