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L’opinione | Lo stato del documentario e quelle tre visioni necessarie

L’America, la Siria, Lampedusa, geografia e visioni: perché oggi il documentario è il genere più vitale

In occasione dell’uscita dell’album Fear of a Black Planet, nell’aprile del 1990, Chuck D. dei Public Enemy disse che il rap era la CNN dei neri. Aveva ragione: non c’era niente di più vero e autentico delle rime dell’infuocata crew di Fight the Power e la realtà sociale raccontata dai brani del più importante gruppo della storia della musica hip hop era la fonte di notizie principale per chi fosse estraneo alla cultura afroamericana di quegli anni. Oggi probabilmente il rap ha perduto quella forza politica e la capacità di capovolgere il dolore in rabbia, dando voce a chi è vittima di emarginazione, descrivendo la difficoltà di sopravvivere. E così, la miglior testimonianza delle vite di individui ai margini sembra provenire proprio dal cinema, più esattamente dal documentario.

What You Gonna Do When The World’s On Fire? di Roberto Minervini.

Nelle ultime settimane, tra Mostra del Cinema di Venezia e il Milano Film Festival, abbiamo assistito a tre lavori che restituiscono la verità, attraverso immagini uniche e dolenti capaci di sintetizzare le condizioni sociali ed esistenziali degli angoli più difficili del mondo. Pensate a WHAT YOU GONNA DO WHEN THE WORLD’S ON FIRE? di Roberto Minervini, presentato in Concorso al Lido, dove si mostra la quotidianità di una comunità nera del Sud degli Stati Uniti, che reagisce alle brutali uccisioni di giovani afroamericani avvenute nell’estate 2017 per mano della polizia. La potenza dello sguardo del filmmaker nato a Fermo è paragonabile alla funzione comunicativa che una volta apparteneva al rap: in un’epoca di fake news, di parole e populismo, Minervini filma la rabbia e l’indignazione, coniugando pubblico e privato.

Still Recording di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub.

Sempre a Venezia abbiamo visto lo scioccante STILL RECORDING, vincitore della Settimana della Critica, documentario di Saeed Al Batal e Ghiath Ayoub, due giovanissimi cineasti che hanno registrato la vita in tempo di guerra in Siria, tra Ghouta e Douma, Assad e l’assedio di Damasco. Un autentico reportage in diretta, tra le bombe e i proiettili improvvise delle sparatorie. Per chi non ha ben chiare le idee di che cosa accada realmente da quelle parti, è senz’altro utile recuperarlo.

Infine, guardate IT WILL BE CHAOS di Lorena Luciano e Filippo Piscopo, evento speciale del Milano Film Festival e domenica 7 ottobre su Sky Atlantic alle 21.15, per avere una maggiore consapevolezza dei fenomeni migratori: seguiamo un ragazzo eritreo sopravvissuto al tragico naufragio di Lampedusa dell’ottobre 2013 e una famiglia siriana bloccata a Smirne che vuole scappare dal conflitto. Un lavoro di ricerca accurata, importante, commovente, privo però di retorica e orpelli: i due registi si limitano a riprendere volti, corpi, lacrime, speranze e disperazione, adottando un punto di vista esterno che non ha bisogno di ulteriori giudizi e commenti. Basta osservare la realtà: è quella che fa più male.

INTERVISTE – Dietro le quinte di It Will Be Chaos

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