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La notte. O del perché riscoprire il film di Michelangelo Antonioni sessant’anni dopo

Il 24 gennaio del 1961 uscita nelle sale italiane il secondo capitolo della trilogia dell’incomunicabilità

la notte

ROMA – Un palazzo signorile e, sullo sfondo, il grattacielo Pirelli di Milano. Si apre così La notte di Michelangelo Antonioni – uscito in sala sessant’anni fa, il 24 gennaio del 1961 -, capitolo centrale della trilogia dell’incomunicabilità, preceduta da L’avventura e seguita da L’eclisse, che valse al regista l’Orso d’Oro a Berlino. Due volti della stessa città che si stava trasformando sotto gli occhi dei suoi cittadini come racconta la lunga inquadratura iniziale che, scendendo dall’alto verso il basso del Pirellone, mostra nel riflesso delle sue vetrate quel grande cantiere a cielo aperto che era Milano all’epoca, simbolo dell’edilizia moderna intenzionata a spazzare via la miseria ereditata della guerra. Per quelle strade caotiche, intasate dal traffico e dalle linee geometriche votate alla linearità si muovono Giovanni (Marcello Mastroianni), scrittore di successo, e la moglie Lidia (Jeanne Moreau).

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Jeanne Moreau e Marcello Mastroianni in una scena del film

Una coppia in crisi che Antonioni segue con la macchina da presa per un’intera giornata che culminerà all’alba della mattina successiva. In mezzo la visita in ospedale al comune amico Tommaso (Bernhard Wicki) gravemente malato, la presentazione del nuovo libro di Giovanni, il peregrinare senza meta di Lidia per la città, un’infelice uscita di coppia e, infine, l’invito a una festa nella villa di un ricco industriale. Scritto dal regista insieme a Ennio Flaiano e Tonino Guerra, il film pone al centro due personaggi che sembrano come galleggiare nel mondo, avvolti da un’inerzia esistenziale. Lui la tradisce non appena ne ha l’occasione, lei non riesce a provare più nulla per lui. Sarà l’incontro alla festa con la giovane Valentina (Monica Vitti) a portare la coppia a quel confronto necessario ma ormai tardivo.

Monica Vitti è Valentina

Antonioni torna ad indagare l’alienazione dell’uomo nella società moderna. E se per L’avventura si era servito del genere thriller, con La Notte asciuga ancor di più lo scheletro del film lasciando che il silenzio diventi parte integrante della narrazione. Ecco allora che il suono diventa elemento fondamentale: dal rumore di un elicottero alle urla di una rissa, dai clacson al vociare ininterrotto passando per la quiete della periferia interrotta dal pianto di una bambina. Proprio la contrapposizione tra centro città/hinterland serve al regista per mostrare un’Italia proiettava verso il boom economico ma che lascia dietro di sé le macerie di un conflitto ancora impresso nella memoria collettiva.

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Una delle tante inquadrature riflesse del film

Quel boom economico è anche l’elemento necessario per raccontare la trasformazione della figura dell’intellettuale nell’Italia post bellica e il rapporto tra cultura e potere economico. Giovanni è uno scrittore ma si lascia tentare dall’offerta dell’industriale Gherardini che gli propone un posto di lavoro per scrivere un libro sulla sua azienda. Affascinante, noto, benestante, Giovanni si lascia attraversare dall’idea di mettere in vendita la sua arte. La notte assume così contorni documentaristici, testimonianza di un mutamento sociale che stava avvenendo in quegli stessi anni. La fotografia di chiaroscuri di Gianni Di Venanzo e le musiche di Giorgio Gaslini – riconoscibile nella sequenza finale, con l’orchestra che suona in giardino – donano al film una modernità che si specchia nella regia di Antonioni, fatta di riflessi, campi lunghi, giochi di prospettiva e inquadrature frontali.

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Una delle immagini finali del film

La notte segue Giovanni e Lidia nel loro vagare esistenziale, chiusi nell’incapacità di aprirsi l’uno all’altra. «Se stasera ho voglia di morire è perché non ti amo più» dice Lidia al marito in un moto di apertura e sincerità mentre le prime luci del sole accompagnano l’arrivo di un nuovo giorno. Ma Giovanni non lo accetta, non è pronto a fare i conti con la realtà. La sua unica risposta è tentare di ristabilire un legame attraverso il sesso, linguaggio primordiale, unica parola con la quale riesce a esprimersi. Un atto tardivo, ennesimo esempio di quell’incomunicabilità che li attanaglia. L’obiettivo di Antonioni non può far altro che constatare il loro fallimento e voltargli le spalle, lasciandoli soli in un abbraccio disperato.

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Qui potete ascoltare Blues all’alba, brano della colonna sonora di Giorgio Gaslini:

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