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Diabolik | Perché dovreste vedere la lettera d’amore firmata dai Manetti Bros.

Un capolavoro? No, ma un film affascinante. Con un cuore pulsante e analogico in un mondo digitale

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Valerio Mastandrea, Luca Marinelli e Miriam Leone in Diabolik.

MILANO – No, non è James Bond. Non è nemmeno un cinecomic. Non ci sono ragnatele, goblin oppure linee parallele del tempo da alterare. Non ci sono nemmeno esplosioni, eternals o pianeti che implodono. Non è un blockbuster americano, ma (finalmente) un film italiano che racconta un mito tutto italiano creato – e si dice sempre poco – da due donne rivoluzionarie come le sorelle Giussani che se fossero americane avrebbero già tre musei, un premio intitolato e un’accademia. Ma siamo in Italia e, più che a crearli, noi da sempre siamo bravi a demolirli i miti, a staccarne un pezzo alla volta, a ridurli alla banalità scrivendo che, in fondo, non erano poi così speciali perché gli altri sono sempre meglio, più grandi, più interessanti.

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Diabolik: Valerio Mastandrea e Miriam Leone con i Manetti Bros. Foto Antonello & Montesi.

Così, dopo un’attesa di oltre due anni, ecco arrivare finalmente in sala il Diabolik dei Manetti, una lettera d’amore vintage costruita artigianalmente pezzo per pezzo (e si vede, dai costumi alle scenografie), un film dal cuore analogico in un mondo digitale che si prende il suo tempo, non corre, non accelera, guarda al passato. E gioca a carte con il cinema di ieri, mescola rimandi a Caccia al ladro di Hitchcock e a Il caso Thomas Crown di Norman Jewison, con una sostanziale differenza: Luca Marinelli non ha il fascino di Cary Grant o Steve McQueen e però non deve nemmeno averlo perché Diabolik – si ricordi bene – è da sempre un personaggio ambiguo, scuro, un ladro assassino con cui non si deve per forza empatizzare.

Luca Marinelli con Serena Rossi in una scena di Diabolik.

E allora attorno a Marinelli, che lavora sull’invisibilità e su quello che di fatto è un antieroe, ecco emergere i veri protagonisti di Diabolik: la Eva Kant di Miriam Leone e il Ginko di Valerio Mastandrea, personaggi più affascinanti di Diabolik con Lady Kant che, scena dopo scena, si prende il film (già pronta per uno spin-off) mentre Ginko è un altro uomo d’altri tempi, solido, grigio e rigoroso, uno Sherlock più Arthur Conan Doyle che Benedict Cumberbatch. E il resto del cast funziona benissimo, da una grigia Serena Rossi, moglie inquieta e tradita nel peggiore dei modi (non con una donna, ma con una seconda vita) a Alessandro Roia, viscido e convincente villain, passando per Piergiorgio Bellocchio fino ai caratteristi scelti come sempre ad arte dai Manetti. Su tutti? L’avvocaticchio del tribunale, poi il direttore del carcere (fantastico Antonino Iuorio) e il capo della polizia di Ghenf (ma c’è anche Mario Gomboli, storica colonna di Astorina, come giudice di tribunale).

Sul set: Luca Marinelli ascolta i Manetti. Foto Nicole Manetti.

L’obbiettivo dei Manetti era mettere in scena l’eleganza minimalista del fumetto, nessuna rivoluzione o aggiornamento – l’ammissione è loro – e da questo punto di vista Diabolik riesce perfettamente nella missione, risultando un film completamente fuori dal suo tempo proprio perché cerca di essere senza tempo. Non dimentichiamo che il Diabolik di Mario Bava del 1968 venne sconfessato (e odiato) dalle stesse sorelle Giussani. Qui il ritmo non incalza, anzi spesso, rallenta per raccontare e seguire i personaggi, donando (finalmente) grande spazio alle musiche, sparate a tutto volume e firmate Pivio e De Scalzi con echi di Bernard Herrmann e Lalo Schifrin (Pivio dixit) e i due brani di Manuel Agnelli ad aprire e chiudere il film.

Alessandro Roia con Miriam Leone in un’altra scena di Diabolik.

Sul gusto poi tutto italiano di sparare contro un film atteso da due anni e su cui parte dell’industria punta molto ci sarebbe poi da aprire un capitolo a parte, soprattutto nel momento in cui qualsiasi produzione targata Marvel o DC Comics viene avallata senza problemi e con grande plauso da parte della critica (vogliamo parlare di Eternals di Chloé Zhao? Ecco). Quindi dobbiamo dire per forza che Diabolik è un capolavoro? No, affatto. Non lo è, ha dei punti deboli, ma è senza dubbio un buon film, affascinante e godibile da gustare minuto dopo minuto proprio come si fa con un buon bicchiere di whisky. Certo, non si può chiedere ad un Jack Daniel’s di essere una Coca-Cola…

  • INTERVISTE #1 | Marco Manetti e Valerio Mastandrea raccontano Diabolik
  • INTERVISTE #2 | Antonio Manetti e Miriam Leone raccontano Diabolik
  • Volete vedere il film? Lo trovate in streaming su CHILI

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