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L’uomo che rubò Banksy | Marco Proserpio, Iggy Pop e quel viaggio in Palestina

Tra Roma, Betlemme e New York, un singolare documentario da riscoprire in streaming

Una revisione del murales di Banksy

MILANO – Siamo nel 2007. Banksy e la sua squadra si introducono nei territori occupati in Palestina e firmano a modo loro case e muri di cinta. I palestinesi però non gradiscono. Il murales del soldato israeliano che chiede i documenti all’asino li manda su tutte le furie: passi l’essersi introdotto nei territori e l’aver agito senza presentarsi alla comunità ma essere dipinti come asini davanti al resto del mondo è troppo. A vendicare l’affronto con un occhio al bilancio ci pensano quindi un imprenditore locale, Maikel Canawati e soprattutto Walid, palestrato tassista del posto con le idee chiare. Come fare? Semplice: con un flessibile e l’aiuto della comunità, decide di coprire e poi tagliare il muro della discordia. L’obiettivo dichiarato? Rivenderlo al maggior offerente.

L'uomo che rubò Banksy
Due varianti del poster del documentario.

Questa è la storia di L’uomo che rubò Banksy dell’italiano Marco Proserpio, nel 2018 in concorso al Tribeca di New York e ora finalmente in streaming su Prime Video (in flat) e a noleggio su AppleTV+, sguardo palestinese su un’arte di strada di matrice occidentale e sui messaggi che la street art veicola sul muro che separa Israele dalla Striscia di Gaza, prima che il massacro compiuto dall’esercito israeliani, ancora in corso, cancellasse di fatto Gaza. Al tempo stesso però, l’opera è anche il racconto della nascita di un mercato parallelo, illegale e spettacolare, di opere di street art prelevate dalla strada senza il consenso degli artisti. Sono passati anni e l’asta per quel pezzo di muro non si è conclusa: per oltre centomila dollari una tonnellata di muro firmata Banksy è stata trasferita in Svezia e ora forse finirà in America.

La dichiarazione di Vera Baboun, oggi ambasciatrice della Palestina in Cile.

Partendo da alcuni casi concreti di opere finite sul mercato all’insaputa dei loro autori, il documentario  affronta anche tematiche d’attualità legate alla comparsa della speculazione nel mercato della street art, al diritto d’autore, al confronto tra culture diverse e al recupero di opere percepite come delle vere e proprie sfide tecnologiche anche da restauratori specializzati nello stacco di affreschi rinascimentali. Il documentario alterna riprese fatte in strada in diversi Paesi a interviste ad alcuni degli esperti riconosciuti a livello internazionale su questi temi. A narrare il tutto? Una voce d’eccezione, quella di Iggy Pop.

L'uomo che rubò Banksy
Non fatelo innervosire: il tassista Walid detto La Bestia.

E poi – da non dimenticare – L’uomo che rubò Banksy da anche la voce, per la prima volta, ad un personaggio come Walid The Beast, lasciandogli la possibilità di spiegare la sua scelta di ritagliare, per venderli, i muri offerti da Banksy al popolo palestinese, lasciando decidere poi al pubblico chi sono i buoni e i cattivi in questa assurda storia, perché, come spesso accade, anche qui alla fine si tratta solo di una questione di punti di vista.

  • DOC CORN | I documentari scelti da Hot Corn.
  • VIDEO | Qui il trailer di L’uomo che rubò Banksy:

 

 

 

 

 

 

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