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Perché Bridgerton è il feuilleton che ci meritiamo nelle tempeste di questi tempi

Sano, portentoso, frivolo e appassionato: ecco perché ne abbiamo bisogno proprio ora…

Bridgerton
Cosa? Non avete ancora visto Bridgerton?

MILANO – Sì, è ritornato ed ha colpito nel segno. Di nuovo! Dopo l’exploit della prima stagione, Bridgerton si conferma ancora uno dei diamanti più abbaglianti (permettete la quote regale) tra le recenti produzioni originali Netflix. Niente citazioni anni Ottanta, reinterpretazioni femministe dei classici dell’investigazione o storie di fashioniste parigine intrinsecamente provinciali. Qui, anche se forse sarebbe meglio dire là, nella rappresentazione molto instagrammabile (aggettivo brutto, ma necessario) dell’età della reggenza, si predilige un sano, portentoso, frivolo e appassionato slancio in un turbinio di balli, inviti formali, aristocratici pettegolezzi, corteggiamenti serrati e perfino… api!

Kate e Anthony, ovvero Simone Ashley e Jonathan Bailey in Bridgerton 2.

Se non aveste fatto binge watching, la coppia regina della stagione è formata da Anthony Bridgerton (Jonathan Bailey) e Kate Sharma (Simone Ashley). Segni particolari? Belli, inclusivi e capaci di battibeccare quanto Darcy ed Elizabeth, per poi lanciarsi in romanticissime dichiarazioni d’amore che popoleranno la timeline di Tik Tok, almeno fino al prossimo trend. POV: in una manciata di episodi vuoi pure tu un visconte che ti ama (o quanto meno che non fa ghosting o swipe a sinistra), una modista a cui affidare il tuo guardaroba e la forza di spegnere quella vocina che, in fondo alla testa, ti dice : «Ma sei seria?».

Bridgerton
«Sì, ogni tanto un po’ di leggerezza ci vuole, cara mia».

E la risposta è: «Sì!». Perché tutto parte dalla consapevolezza che il friccicorio di Bridgerton ci serve, per affrontare la tempesta di questi tempi difficili. È un conforto: non bastano le strepitosamente tossiche atmosfere di Euphoria per raccontare lo spirito del tempo. Serve un po’ di leggerezza – vanesia e preziosa – perché aiuta a dimenticare ogni bruttura. Almeno per un po’. Giusto il tempo di un pettegolezzo sussurrato all’orecchio o di un giro di valzer sulle note di Wrecking Ball, suonata da un quartetto d’archi nel salone delle feste. Dove non entreremo mai, davvero. Pur sapendo di esserci stati, per conservare un po’ di quell’emozione viva e laboriosa, che gli umili di cuore chiamano in un modo solo: speranza.

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