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Barry Jenkins: «If Beale Street Could Talk? Un atto d’amore in un momento storico delicato»

Razzismo, Moonlight, James Baldwin e l’importanza della condivisione: il regista si racconta a Hot Corn

Barry Jenkins sul set di Moonlight.

Persino l’Oscar ha un sapore agrodolce se la stessa sera della vittoria vieni offeso da un insulto razzista. Lo ha raccontato Barry Jenkins quando lo abbiamo incontrato al Toronto Film Festival in occasione della première mondiale di If Beale Street Could Talk (in italiano, Se la strada potesse parlare), tratto dall’omonimo romanzo di James Baldwin (edito in Italia da Rizzoli). Per il regista si tratta del primo film dopo Moonlight e l’emozione è palpabile. Anche l’ironia: «Dopo aver vinto l’Academy Award», scherza il regista, «il più grande cambiamento che ho notato è che la gente risponde alle mie chiamate e mail». Nel film che presenterà alla Festa del Cinema torna a raccontare quello che chiama il “black love” con un’intensità mozzafiato. I giovani protagonisti, infatti, scoprono di aspettare un bambino ma lui finisce in galera per un crimine non ha commesso. Ancora una volta parla di ingiustizie, contrasti e di una dignità capace di farsi strada attraverso ogni avversità della vita. Al crudo realismo del romanzo aggiunge la sua sottile ironia: persino davanti agli attacchi più duri – parole sue – vuole rimanere in piedi.

Barry Jenkins al TIFF per la première di If Beale Street Could Talk. Foto di Presley Ann.

L’INSULTO «Dovevo andare all’after-party del Sunset Tower Hotel a Hollywood e aspettavo la mia limousine. Il valletto mi si è avvicinato sconsigliandomi di salire sulla vettura che mi avevano assegnato perché qualche minuto prima l’autista gli aveva detto: “Accidenti, stasera mi tocca accompagnare quel negro. E probabilmente lo nominano pure come miglior regista”. Ecco, se questo mi succede quando indosso uno smoking da 5000 dollari, sto tornando dai Governor Awards e mi trovo in una posizione, diciamo, di potere, figuriamoci cosa diavolo può capitare ad un impiegato di una fabbrica».

Barry Jenkins e il drammaturgo Tarell Alvin McCraney con gli Oscar vinti per Moonlight. Foto Shutterstock.

IF BEALE STREET COULD TALK «Questo film è un atto d’amore perché so cosa voglia dire essere una persona di colore, soprattutto in un momento delicato come il nostro. Prima di salire sul palco della première, nel backstage il cast e io abbiamo pregato insieme in cerchio e ci siamo messi a piangere. È l’amore che ci ha portato qui e non ci spezzeremo».

Dal profilo Instagram di Kiki Layne i due protagonist del fiilm con Barry Jenkins.

LA GENESI «Ho iniziato a lavorare al film nel 2013, nello stesso periodo di Moonlight, in un momento di particolare frustrazione. A dire il vero ho cominciato a scriverlo quando non avevo neppure i diritti dell’opera, per fortuna grazie al Premio Oscar non è stato molto difficile ottenerli. Quando trovi le persone giuste che capiscono il senso del lavoro tutto diventa facile e mettere insieme il cast perfetto è servito allo scopo».

Stephen James e Kiki Layne in una scena del film.

LA MUSICA «La colonna sonora era importantissima nel libro ma quella originale ci sarebbe costata troppo perché i pezzi sono di proprietà dei grandi studi, così abbiamo creato noi quelle atmosfere descritte nel romanzo, magari con dei violoncelli che eseguono pezzi jazz».

James Baldwin, autore di If Beale Street Could Talk.

LA COPPIA «Considero questi due film complementari perché parlano di famiglie, dell’amore e della vita di persone di colore. If Beale Street Could Talk racconta la famiglia che vorrei avere, mentre Moonlight è la famiglia in cui sono cresciuto».

Alex Hibbert  e Barry Jenkins sul set dii Moonlight.

IL POST-OSCAR «Dopo l’Oscar, soprattutto per il modo in cui ho vinto la statuetta, la gente ha iniziato a rispondere alle email e alle mie chiamate. È questa la più grande differenza rispetto a prima. Non ho modo di montarmi la testa perché mi circondo di persone che mi conoscono da una vita, come i produttori, il direttore della fotografia e il montatore. Mi hanno visto al mio peggio e mi avvisano quando mi rendo ridicolo, dicendomi: “Hai vinto l’Oscar ma per noi resti lo stesso”. Ecco perché non ho sentito la pressione del riconoscimento: avevo già pronto un altro film dopo la vittoria, quindi non mi ha colto nessun blocco dello scrittore».

Il produttore di La La Land, Jordan Horowitz, consegna l’Oscar per il miglior film a Barry Jenkins.

L’AMICIZIA «Io e il direttore della fotografia, James Laxton, siamo stati compagni di stanza alla scuola di cinema, ci conosciamo da quando avevamo 20 anni ed entrambi ci consideravamo un po’ nerd. Abbiamo scoperto un linguaggio comune e ci capiamo al volo. Dopo tanto tempo, ha sviluppato una certa sensibilità rispetto alla questione afroamericana ed ha abbracciato totalmente la mia visione, che condivide in pieno. È splendido avere accanto qualcuno che ti completa».

Barry Jenkins e James Laxton sul set di Moonlight.
  • Qui potete vedere il red carpet all’Apollo Theater di Harlem di If Beale Street Could Talk:

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