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Auguri Kubrick: 2001: Odissea nello spazio compie cinquant’anni

Il 29 marzo del 1968 la prima proiezione di un’opera destinata a segnare il Novecento. Che non fu capita

«Ognuno è libero di speculare a suo gusto sul significato filosofico e allegorico di questo film. Io ho cercato di rappresentare un’esperienza visiva, che aggiri la comprensione per penetrare direttamente nell’inconscio…». Furono queste le parole che Stanley Kubrick proferì in un’intervista riferendosi a quella che ancora oggi rimane la sua opera più ambiziosa mai realizzata, 2001: Odissea nello spazio, proiettata per la prima volta il 29 marzo del 1968 (per la stampa, più precisamente per Life), tre giorni prima della sua uscita ufficiale nei cinema americani. All’epoca il film venne in un primo momento accolto senza eccessivo entusiasmo da parte di critica e pubblico, anche a causa della duplice natura di film ad alto budget e, al tempo stesso, di prodotto altamente sperimentale.

Incredibile, ma vero: la grandezza di 2001: Odissea nello spazio non apparì affatto immediata agli inizi, anzi, basti ricordare, oltre al commento di Rock Hudson («Ma c’è qualcuno che può dirmi di che diavolo parla?»), l’accoglienza che l’anno dopo Kubrick ricevette alla cerimonia degli Oscar, con l’Academy da sempre tradizionalista e poco propensa al coraggio che gli diede quattro sole nomination (regia, sceneggiatura, scenografia e effetti speciali) ed un unico riconoscimento (per gli effetti, che sarebbe rimasto poi l’unico mai dato a Kubrick). A vincere a mani basse fu un classico come Oliver!, sei Oscar e il regista Carol Reed preferito a Kubrick, in cinquina con Anthony Harvey, Franco Zeffirelli e Gillo Pontecorvo.

Scimmie e Strauss: l’inizio di 2001: Odissea nello spazio.

Cinquant’anni dopo, oltre all’ambizione visiva e al coraggio di un artista disposta anche al fallimento per la sua arte, di 2001: Odissea nello spazio rimane l’incredibile capacità di resistere alla intemperie degli anni, un film invecchiato benissimo (venne distribuito nelle sale più di un anno prima dello sbarco dell’uomo sulla luna), citato e imparato a memoria da decine di registi (Christopher Nolan su tutti), che tra Strauss e Zarathustra riflette sull’indissolubile legame che l’essere umano ha con lo spazio e con il tempo, in una sorta di viaggio omerico che va dalla genesi dell’uomo fino alla rinascita sotto forma di feto che fluttua sopra la Terra.

Il Dr. Dave Bowman (Keir Dullea) e il Dr. Frank Poole (Gary Lockwood) nella navicella con H.A.L. 9000.

Con l’invenzione del computer H.A.L. 9000, per alcuni rimando alla celebre azienda produttrice di computer I.B.M. (sono le tre lettere precedenti), ma per Arthur C. Clarke solo acronimo di Heuristically ALgoritmic, Kubrick portò poi sullo schermo il rapporto Uomo-Intelligenza Artificiale che di lì in poi avrebbe continuato a ispirare molti autori moderni, vedi Spike Jonze e Her, o Duncan Jones nel suo Moon (con Sam Rockwell, fresco vincitore di Oscar). Quel Duncan Jones figlio di un’altra icona del Novecento, David Bowie, che proprio a 2001: Odissea nello spazio si ispirò per comporre Space Oddity, che uscì un anno dopo. Il Major Tom protagonista della canzone fu infatti ispirato da Bowie proprio al personaggio del dottor Bowman, interpretato da Keir Dullea: «Andai al cinema a vederlo appena uscì», ricordò Bowie, «e tornai poi a rivederlo diverse volte. Quella visione mi sconvolse. Fu davvero una rivelazione». Lo fu anche per noi.

La fine è solo l’inizio, l’inizio è solo la fine.

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