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Brad Pitt, lo spazio reale e l’universo di James Gray | Perché vedere Ad Astra?

Tra Seneca e Ray Bradbury, un’avventura stellare che però è soprattutto un viaggio interiore

Brad Pitt è Roy McBride in Ad Astra

ROMA – 2120. Lo spazio, come fossimo in un romanzo di Ray Bradbury, è colonizzato dall’uomo. La galassia, le stelle, i pianeti. L’infezione umanoide è arrivata anche lì, dove pareva che l’impossibile restasse tale. E invece anche la Luna, nel suo lato oscuro, sembra essere un deserto bianco popolato da strani predoni, furenti come quelli di Mad Max. Allora, la missione impossibile di ritrovare sé stessi, diventa un cammino tortuoso e incerto. Del resto, per raggiungere le stelle, si deve necessariamente passare attraverso l’inferno. Per aspera ad astra. Lo dicevano Dante e Seneca, lo diceva la mitologia greca, i cui eroi sarebbero arrivati sull’Olimpo solo dopo aver compiuto incredibili fatiche.

Brad Pitt il cosmonauta

Allora, il Roy McBride di James Gray e di Brad Pitt nel loro Ad Astra, ha tutta l’aria di essere esattamente questo, un eroe mitologico, partito verso i confini dello spazio e del tempo per scoprire da dove provengono quelle scariche elettriche che minacciano un’estinzione ormai prossima. Il viaggio, infatti, lo porta a scoprire che i bagliori sono generati da una nave spaziale, bloccata sotto Nettuno, e facente parte del progetto LIMA, una vecchia missione capitanata dal padre di Roy, Clifford McBride (Tommy Lee Jones), di cui si sono perse le tracce sedici anni prima.

Ruth Negga e Brad Pitt

È innegabile che il fascino delle space adventures sia potente sul grande schermo. E, in Ad Astra, James Gray vuole enfatizzare la grammatica dell’ignoto, la sua ineluttabilità, la sua inquietante supremazia. Sfidato – con tutte le contraddizioni del caso – dall’aspirazione massima e ancestrale della razza umana: la conoscenza. Perché, come Ulisse, nella sua lucida follia, papà Clifford ha perseverato nel suo compito di cercare qualcos’altro. Certo che non sia tutto qui. Sicuro che ci sia, da qualche parte, quel senso assoluto in grado di far sgranare gli occhi dinanzi la volta celeste. Dall’altra parte, suo figlio, prova a colmare il vuoto che gli ha lasciato, scendendo in guerra con il suo dovere, fidandosi solo della sua abnegazione e del suo doveroso coraggio.

James Gray e Brad Pitt sul set del film

Perché, come il raffinato James Gray ci ha insegnato nel suo cinema (I Padroni della Notte, per citarne uno), le colpe dei padri ricadono sui figli. Così, mentre il regista fa dello spazio un gioco di colori primari, a squarciare il nero assoluto, rafforzando le immagini – tanto da essere auliche – con l’incantevole e drammatica colonna sonora di Max Richter, Ad Astra (tanto caricato, però, da lasciare qua e la dei vuoti) è il viaggio interiore di un uomo. Ammaccato dal bisogno carnale di sapere, di ritrovare quella parte di sé, persa in anni-luce di incolmabile distanza. Roy McBride, eroe fiero e dolente, cosmonauta da libro di fantascienza, trafitto dalla solitudine. Come una stella appesa nel nulla, che non si stanca di brillare, continuando ad indicare la via di casa.

  • Qui il trailer di Ad Astra

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