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Tra oblio e libertà | Perché stanno tutti parlando di Unorthodox?

La serie ambientata nella comunità ultra-ortodossa ripercorre la storia vera di Deborah Feldman

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MILANO – Camminando per le strade di New York, poco importa se a Midtown, Brooklyn o Coney Island, vi potrebbe capitare – e anche con una certa frequenza – di essere fermati da uno o più ragazzi ebrei ortodossi. La domanda è sempre la stessa: «Are you jewish?». Se la risposta è affermativa vi chiederanno di pregare con loro. A una comunità ultra-ortodossa apparteneva anche Deborah Feldman che ha raccontato la sue esperienza in Ex ortodossa. Il rifiuto scandaloso delle mie radici chassidiche, bestseller del 2012 adattato per il piccolo schermo in Unorthodox, la mini-serie Netflix creata da Anna Winger e Alexa Karolinski.

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Una scena di Unorthodox

Quattro episodi diretti da Maria Schrader che ripercorrono una vita fatta di regole ferree e precetti religiosi da seguire e applicare in ogni aspetto della quotidianità. Una comunità chiusa che poggia le sue fondamenta su tradizioni secolari alle quali è impossibile sottrarsi. La pena, per chi trasgredisce, è l’oblio. Cancellati dai ricordi, allontanati dagli affetti, marchiati come traditori. È quello che accade alla madre di Esty (Shira Haas), la giovane protagonista di Unorthodox specchio dell’esperienza vissuta dalla Feldman, che dopo un matrimonio combinato fugge a Berlino per sottrarsi ad una vita senza possibilità di scelta.

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Shira Haas è Esty

Così Esty viene cresciuta dagli anziani nonni a Williamsburg, in una casa in cui si parla solo yiddish e in cui, essendo donna, è vietato anche solo cantare e ballare. La possibilità di un nuovo inizio ha per lei i contorni di un matrimonio combinato. Appena diciassettenne Esty è una sposa il cui unico obiettivo è fare figli per ricostruire la comunità di sei milioni di ebrei uccisi nei campi di concentramento. La vita familiare della ragazza viene mostrata in Unorthodox in tutta la sua brutale realtà. Seguendo i precetti, la ragazza deve radersi i capelli e portare la Sheitel – una parrucca – per rispettare lo Tzniut, la modestia imposta dall’ebraismo conservatore.

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Una scena della serie

Stretta in un rigido controllo, anche la vita sessuale di Esty è soggetta a regole. Nessun piacere, nessun desiderio, un solo compito: restare incinta. Dopo un anno vissuto da reclusa nella sua stessa casa, Esty fugge. La sue destinazione è Berlino, medesima città scelta da quella madre di cui non ricorda nulla molti altri prima. Anna Winger e Alexa Karolinski impostano l’architettura del racconto fondendo passato e presente in un dualismo che si riflette anche nei colori e nelle atmosfere di una Williamsburg inedita e di una Berlino simbolo di apertura e occasioni. Tutto ciò di cui Esty era stata privata.

Un'immagine di Unorthodox
Un’immagine di Unorthodox

Forse complice il lockdown, Unorthodox è diventata un piccolo caso, cresciuta con il passaparola digitale, imponendosi come una delle produzioni più viste della piattaforma streaming. Una lente d’ingrandimento su una comunità trincerata in un proprio mondo basato sulla rigidità e un dolore mai sanato. Recitata in inglese e in yiddish, la serie mostra la comunità hasidica in tutte le sue tradizioni, codici, precetti. La ricostruzione minuziosa di un mondo impenetrabile, dalla messa in scena di un matrimonio alla prima notte di nozze, dall’ingerenza nel privato alla totale assenza di qualsiasi forma di tecnologia.

Shira Haas in una scena della serie

Al netto di qualche sbavatura, la miniserie è un potente racconto di autoaffermazione che getta luce sulla condizione delle donne chassidiche che attraverso la storia di Esty/Deborah diventano simbolo di un femminile sacrificato, sotto scacco di scelte altrui contro cui ribellarsi. Il volto di questa ribellione delicata quando irreversibile è quello di Shira Haas, già vista in Sognare è vivere e Maria Maddalena. Il corpo minuto, quasi infantile, dell’attrice israeliana nascosto negli abiti accollati imposti dalla comunità diventa lo strumento attraverso cui raccontare l’evoluzione di Esty. Una determinazione granitica nata dai tasti di un pianoforte disegnati su un foglio e suonato di nascosto, con quell’immaginazione impossibile da controllare.

Esty a Berlino

Una storia unica eppure simile a quella di tante altre donne (ma anche uomini) che hanno deciso di lasciarsi alle spalle una vita asfissiante, come raccontato anche da Heidi Ewing e Rachel Grady nel documentario One of Us. Una società il cui cuore conservatore pulsa, come ci mostra Unorthodox in un’amara ironia della sorte, nel centro del mondo occidentale, New York. La città simbolo della libertà, la stessa rincorsa da Esty dall’altra parte del mondo.

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Qui potete vedere il trailer di Unorthodox:

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