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Romulus, il mito della fondazione di Roma e l’ambizione di Matteo Rovere

Un’opera coraggiosa che si muove tra umano e divino, conflitti e paure. Dal 6 novembre su Sky

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Romulus. Photocredit: Francesca Fago

ROMA – Ambizione, audacia e coraggio. Se dovessimo racchiudere in tre parole il lavoro di Matteo Rovere sarebbero queste. Regista, sceneggiatore e produttore con una visione e la determinazione necessaria per metterla in atto. Dopo l’esperimento (riuscito e mai abbastanza celebrato) de Il Primo Re, Rovere torna indietro nel tempo, al VIII secolo a.C., con Romulus. La serie in dieci episodi in onda su Sky Atlantic dal 6 novembre incentrata sulle vicende antecedenti la nascita di Roma. Ad affiancarlo nella sceneggiatura Filippo Gravino e Guido Iculcano e dietro la macchina da presa Michele Alhaique e Enrico Maria Artale. Una serie che fin dalle primissime immagini svela la sua vocazione internazionale con una messa in scena e una ricostruzione storica di prim’ordine.

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Una scena di Romulus. Photocredit: Francesca Fago

Un racconto in cui leggenda e mitologia s’intrecciano con la Storia in un mondo in cui a guidare le vite delle persone erano il volere degli dèi e la sua osservanza. Tra questi due poli e tutto lo spettro di emozioni che li separa si muovono i personaggi di Romulus. L’ambientazione è quella di Latium Vetus, la Terra dei trenta Re a sud del Tevere in cui ogni popolo ha un proprio sovrano ma riconosce in Numitor il Re dei Re che, a causa del perdurare della siccità, consulta l’aruspice. Il responso è chiaro: il re dovrà andare in esilio e il suo trono passerà ai nipoti, Enitos (Giovanni Buselli) e Yemos (Andrea Arcangeli). Ma quando i due si preparano a salire al trono, Amulius, fratello minore di Numitor e padre di Ilia (Marianna Fontana), vestale segretamente innamorata e ricambiata da Enitos, decide di prendere il potere con la forza.

Marianna Fontana è la vestale Ilia. Photocredit: Francesca Fago

Così la rivisitazione del mito di fondazione di Roma passa attraverso guerre e tradimenti in virtù di un’ossessione per il potere che caratterizza l’uomo fin dalla notte dei tempi. Romulus quindi, nonostante l’ambientazione e il periodo storico, non è così lontana da quel filone narrativo che da Romanzo Criminale arriva fino alla recente Suburra nella rappresentazione delle lotte intestine per la conquista del dominio e delle sue conseguenze. Ma la serie è anche un potente racconto di formazione grazie ai suoi giovani protagonisti su cui spiccano Wiros, lo schiavo di Velia interpretato da Francesco Di Napoli, insieme ai già citati Yemos e Ilia. A rendere ancora più vivida la creazione di un mondo governato da riti ancestrali, la scelta di Rovere di far recitare i suoi attori in protolatino come già fatto ne Il Primo Re.

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Una scena della serie. Photocredit: Francesca Fago

Il risultato è un’opera che si muove tra umano e divino, sangue e spiritualità mentre racconta di amore, coraggio, fratellanza ma anche guerre, conflitti interiori e paure. Un’altra sfida vinta per Matteo Rovere che, alla sua prima serie tv, si confronta con le grandi produzioni internazionali realizzando un racconto epico. Merito anche di una regia dal respiro moderno in cui ogni singolo elemento – dalla fotografia di Vladan Radovic alle scenografie di Tonino Zera passando per i costumi di Valentina Taviani – è pensato per amplificare e sorreggere la narrazione.

  • Matteo Rovere: «Romulus? Storia e leggenda per una serie europea»

Intervista a Matteo Rovere è a cura di Manuela Santacatterina:

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