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Il filo nascosto, Mark Bridges e quei costumi da Oscar

Stoffe, messaggi segreti e dettagli rilevatori: l’importanza degli abiti nel film di Paul Thomas Anderson

Uno dei messaggi segreti nascosti da Woodcock nella fodera dei suoi abiti.

«Puoi cucire quasi tutto nella fodera di un cappotto», riflette Reynolds Woodcock – un magistrale Daniel Day-Lewis – stilista della Londra degli anni Cinquanta ne Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson (in prima visione su CHILI). Maniaco del controllo, perfezionista, insofferente, ossessionato dal ricordo della madre, Woodcock è uno scapolo convinto che alla stabilità emotiva ha preferito compagne intercambiabili, accessori usati e lasciati in un angolo. Almeno fino all’incontro con Alma – Vicky Krieps – modesta cameriera che strapperà quei punti saldi di una vita cucita su misura. Ma chi c’è dietro le creazioni firmate da Woodcock? Mark Bridges, collaboratore di lunga data di Anderson, che dall’industria del porno della California degli anni Settanta di Boogie Nights è arrivato dentro un atelier londinese per un’opera grazie alla quale ha vinto il suo secondo Oscar.

Il marchio di qualità: Woodcock.

Balenciaga, Victor Stiebel, Charles James e Hardy Amies sono solo alcuni dei grandi stilisti nelle cui opere Bridges ha trovato ispirazione per la realizzazione degli abiti de Il filo nascosto. Un lungo periodo di studio e progettazione seguito da sei mesi impiegati per confezionarli e grazie ai quali Bridges ha bissato la vittoria agli Oscar del 2012 per The Artist. Stoffe, tagli, rifiniture, segreti e ricordi cuciti nelle imbottiture diventano dettagli rivelatori della psicologia e degli umori di Woodcock che odia la «sporca parolina chic» e soffre nel vedere le sue creazioni indosso a chi non ne intuisce la sacralità.

Helen Mirren, Mark Bridges, l’Oscar e la moto d’acqua vinta per il discorso di ringraziamenti più breve della serata.

Nulla – dai colori dei tessuti agli accessori – è qui lasciato al caso da Bridges che declina la maestosità puramente esibita per dare vita ad abiti raffinati e incantevoli ma fortemente ancorati alla narrazione, danza spietata e sublime della relazione tra Reynolds e Alma. Il risultato? Un lavoro dal respiro corale in cui i due protagonisti hanno avuto un ruolo attivo nel processo creativo, tanto che Day-Lewis – un altro che di ossessioni se ne intende parecchio – ha preso lezioni da Mark Happel, costume director del New York City Ballet, per imparare l’arte sartoriale.

Un’immagine del dietro le quinte del film. Foto di Mike Bauman.

Al pari della sontuosa colonna sonora di Jonny Greenwood (che trovate qui), personaggio invisibile de Il filo nascosto eppure centrale, gli abiti di Mark Bridges diventano così – minuto dopo minuto – protagonisti silenziosi quanto necessari. La parola è sostituita dal filo nascosto, da orli e ricami che raccontano una storia che dall’esterno parrebbe affascinante ma che, sotto la superficie liscia, nasconde tagli, cuciture e brandelli di stoffa. La ferocia e l’incanto dell’amore.

  • Qui sotto, un’interessante featurette sui costumi de Il filo nascosto, mentre se volete (ri)vedere il film lo trovate su CHILI:

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