ROMA – «Io sono Iron Man». Dieci anni fa fu questa la dichiarazione d’intenti da parte della Marvel: il futuro dei supereroi avrebbe previsto proprio quest’uomo al centro di una narrazione seriale da miliardi di dollari. Niente più calzamaglie, maschere, basi segrete o invincibili superpoteri. Ma problemi, nevrosi, catastrofi private prima che globali, in un’umanizzazione dell’icona da fumetto in grado di creare – forse, superando anche Star Wars – la saga cinematografica moderna per eccellenza. Un azzardo assoluto che poteva diventare un clamoroso fallimento e che molti avevano già preventivato.
Ogni titolo dei ventitré usciti, con i recenti Captain Marvel, Endgame e l’imminente Spider-Man: Far From Home, è il tassello di una costellazione capace di portare il cinema e la serialità sullo stesso identico piano astrale. Il risultato? Un impatto culturale pazzesco e ben sette film tra i primi venti incassi della storia (con Avengers: Endgame a caccia continua di Avatar). E, pensare che tutto è iniziato quasi undici primavere fa, inizialmente anche senza troppo clamore, quando Jon Favreau e Robert Downey Jr. portavano in sala Iron Man, pionieri di un futuro che semplicemente non esisteva e non era previsto.
Rivedendo oggi quel film (lo trovate su CHILI) si comprende ancora meglio però la chiave del successo: un miliardario, anzi, un Signore della Guerra, si redime dai suoi crimini, diventando un uomo diverso, un eroe del popolo dal sarcasmo pungente e con un cuore, letteralmente, di vivo ferro. Il Tony Stark di Robert Downey Jr., puntata dopo puntata, diventa così il manifesto del Marvel Cinematic Universe: forza dirompente, ma animo empatico e nobile. Umano e eroe.
Impossibile resistergli, impossibile non amarne i tic, i conflitti, le ansie e le bizzarrie che Downey ha saputo costruirgli attorno, modellandolo e lavorandoci anno dopo anno. Più della corazza, più delle gesta impossibili, più dei suoi futuri amici disfunzionali. E, quindi, il parallelo va obbligatoriamente all’attore protagonista, in un periodo della sua carriera in precario equilibrio. Robert Downey ha buttato per primo l’amo in un mare che, all’epoca, di certo non poteva garantire una fruttuosa pesca, anzi, avrebbe potuto portare a un flop devastante. «To hell and back with RDJ», titolava Rolling Stone in quella primavera del 2008.
Perché? Ma perché il rischio era reale: un personaggio così, playboy ricco sfondato, in affari con ambigui generali del caldo Medio Oriente, almeno su carta, non aveva le carte in regola per far breccia nel cuore del pubblico più trasversale possibile. Eppure, il seme piantato ha iniziato a germogliare in una quercia, oggi, rigogliosa e possente.
Così, Robert Downey Jr., assieme a Tony Stark (tre sequel diretti più sette co-partecipazioni, da The Avengers a Civil War fino a Spider-Man Homecoming), ha ricominciato il viaggio, mostrando (e mettendoci) la faccia di uomo e di attore nuovo, arrivato quasi al punto di non ritorno, fino a quel momento poco capito e sfruttato – nonostante una nomination all’Oscar per Charlot (1993) – se non da Dito Montiel che lo volle nel magnifico Guida per Riconoscere i Tuoi Santi, o da Clooney nel sottovalutato Good Night, and Good Luck oppure da David Fincher in Zodiac.
«Oggi Tony Stark ha cambiato radicalmente il volto dell’industria bellica garantendo libertà e protezione ma soprattutto gli interessi dell’America in tutto il Mondo», veniva così presentato all’inizio del film. Quasi a beffare gli spettatori e, più in grande, l’intera Hollywood. Di fatto Iron Man ha cambiato l’industria, che piaccio o no, influenzando linguaggi, comunicazioni, messaggi, stile, facendo capire agli Studios che gli azzardi a volte pagano (e senza Iron Man, dimenticatevi subito Deadpool o Shazam, non sarebbero stati prodotti).
Il cinema di cui il pubblico ha bisogno oggi è iniziato undici anni fa, in una ponderazione di intenti divenuta certezza. In un gioco di buoni e cattivi pronto a finire, chissà, proprio come era iniziato. E sì, dopo Avengers: Endgame, di Robert Downey Jr. e del suo cavaliere d’acciaio cominciamo a sentire già la mancanza, perché un personaggio così non può avere eredi, troppo ingombrante quella corazza. Allora è il caso di ricordare quella frase da recitare come un mantra: «A volte devi rischiare un’incertezza per avere una certezza». Parola di Tony Stark.
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