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VENEZIA 77 | Pierfrancesco Favino: «Padrenostro? Una lettera d’amore tra padre e figlio»

Tra gli anni di piombo e l’appartenenza di una generazione: l’attore presenta il film di Claudio Noce al Lido

Pierfrancesco Favino a Venezia 77 con Padrenostro
Pierfrancesco Favino a Venezia 77 con Padrenostro. Foto Credits: Giorgio Zucchiati/La Biennale

VENEZIA – È arrivato al Lido nella doppia veste di attore e produttore Pierfrancesco Favino. In Padrenostro, il film diretto da Claudio Noce presentato in Concorso a Venezia 77, interpreta un uomo, Alfonso, ucciso da parte di un commando di terroristi sotto gli occhi del figlio e della moglie. Una storia basata sull’attentato del 14 dicembre del 1976 in cui il vicequestore Alfonso Noce, padre del regista, venne ucciso per mano dell’organizzazione terroristica Nuclei Armati Proletari. In sala dal 24 settembre, Padrenostro racconta gli anni di piombo dell’Italia degli anni Settanta e una generazione, quella dei figli, che ha subito quegli eventi. «Il messaggio politico del film? Raccontare l’infanzia in quegli anni. La nostra generazione è stata messa da parte…».

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Sul set: Claudio Noce in dialogo con Favino.

LA GENERAZIONE – «Ho incontrato Claudio tre anni e mezzo fa a Roma. Ci siamo visti per un caffè. Mentre mi raccontava il film riconoscevo odori, sapori, silenzi. Si riaffacciavo le stanze della mia casa d’infanzia. La mia generazione ha subito questi eventi e raramente qualcuno ha messo gli accenti su di noi. Una volta che andavamo a letto smettevamo di esistere, si dava per scontato che non sentissimo o capissero le conversazioni degli adulti nella stanza accanto. Ma io ricordo le parole, le conversazioni ascoltate di nascosto. Raccontare il mistero che c’è nel rapporto tra un padre e un figlio è qualcosa che ci riguarda tutti e che in questo momento è evitato perché si pensa che possa far paura andare su emozioni cosi forti. Noi, al contrario, abbiamo fatto un film emozionante. Capita di rado che una storia personale racconti una storia universale».

Pierfrancesco Favino al photocall di Venezia. Foto Credits: Giorgio Zucchiati/La Biennale

L’APPARTENENZA – «Il messaggio politico di Padrenostro? Raccontare l’infanzia in quegli anni. La nostra generazione è stata messa da parte. Il film lo mostra nella prima e ultima scena. Da ragazzo ho rubato le borse Tolfa delle mie sorelle per sentirmi di appartenere a qualcosa. Questo ha generato una generazione laica ma anche una letteratura e un cinema che possono affidarsi alla fantasia e alla probabilità dell’infanzia che non ha bisogno di razionalizzare. La nostra è stata una generazione di silenti educati che ogni tanto sente di dover chiedere il permesso. Io sono stanco di dovermi scusare di non aver fatto parte di quel momento storico».

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Pierfrancesco Favino in una scena di Padrenostro

LA LETTERA D’AMORE – «Per questo film mi sono preparato diversamente. Sono andato a ricercare i ricordi nel mio papà, a ritrovare i momenti in cui avrei voluto trovare il sentiero oltre le nuvole sulla testa dei nostri padri, a cercare la tenerezza e la vicinanza della vita quotidiana. Un mondo che ora ringrazio ma che da bambino facevo fatica a scalfire. Il mio personaggio nel film è sempre lì anche quando non c’è. È uno di quegli uomini che non ti avrebbero mai fatto vedere una preoccupazione. Padrenostro è una lettera d’amore finalmente spedita da un figlio al padre e viceversa».

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